Qualità nel Web

Nuovo approfondimento sul fenomeno del momento, il nuovo modo per liberarci dalla carta si sta velocemente affermando, ma c'è molto di più da scoprire, nel web si sta passando dalla quantità alla qualità... basta pagare! Buona lettura e ricordate: il multitasking esasperato è dannoso!! Bye, Rex
Dove ci porteranno l’Ipad e i suoi fratelli?
(Marco De Martino per Panorama on line)
... Mentre per usare il computer bisognava cambiare la propria routine e sedersi da qualche parte, telefoni intelligenti e iPad si integrano nel flusso dei nostri comportamenti...
Ogni volta che come Mosè si presenta sul palco con in mano una nuova tavoletta, Steve Jobs cambia il nostro modo di vivere. Persino lui, il profeta di Cupertino sempre vestito in jeans e dolcevita, sembra ormai essere a corto di metafore per le sue innovazioni. Svelando il nuovo iPhone 4G lo scorso 7 giugno ha citato i Pronipoti: come nel cartone animato, ogni telefonata ora può diventare una videoconferenza, in grande sullo schermo la faccia dell’interlocutore e in un angolo quella di chi chiama. Prima ancora Jobs aveva tirato in ballo Star Trek e subito il telefilm è diventato realtà: più di 2 milioni di persone girano oggi con un iPad simile a quella che il Capitano Kirk usava sull’astronave Enterprise.

Nessuno può sapere dove ci porterà la navicella creata dai tecnovisionari della Silicon Valley che stanno liberando internet dalle catene del computer, ma è certo che si tratta di un mondo nuovo che poco somiglia alle previsioni, non solo degli sceneggiatori tv, ma anche dei futurologi. Il più famoso di loro, Alvin Toffler, nel 1970 pubblicò un saggio dal titolo Lo shock del futuro in cui parlava di «profondo stress e disorientamento » per descrivere gli effetti sull’individuo dell’emergere di nuove società in cui a un accelerato cambiamento tecnologico corrisponde una rivoluzione dei comportamenti troppo veloce per essere metabolizzata. Ma ora che quel futuro è arrivato sta accadendo il contrario: «La nostra reale paura non è soccombere sotto a un mare di informazioni, ma non trovare quella di cui abbiamo bisogno» riassume David Weinberg, che insegna al Berkman center for internet and society dell’Università di Harvard. La condizione descritta da Toffler, quella di un sempre connesso a terminali che trasmettono dati, secondo Weinberg è ora il mondo naturale in cui siamo immersi: «È il nostro ambiente.
Ci siamo adattati. O forse siamo diventati matti».

Di certo un po’ pazzi lo sembriamo sul serio. Sganciata dalla scrivania e dalla presa elettrica la rete diventa parte integrante di una vita scandita dai tasti premuti: schiacci quello di un programma di realtà aumentata e sull’immagine del monumento inquadrato dalla fotocamera del cellulare appare la sua storia in versione Wikipedia. La conoscenza è istantanea come gli acquisti, che sono tutti d’impulso: se a letto ti viene voglia di comprare un libro o un giornale, immediatamente lo puoi scaricare sull’iPad o sul Kindle o sull’iPhone senza avere bisogno di andare in libreria né di collegarti a un sito dove prima di procedere alla cassa bisogna indicare email e numero di carta di credito.

«L’iPad dimostra la potenza di quello che ingegneri e designer chiamano “form factor”, ovvero il principio che dalla forma scaturiscono sempre nuove funzioni, alcune delle quali non sono state neppure previste in fase di progettazione» spiega Gabriele Piccoli, professore di sistemi informativi alla École de management di Grenoble, in Francia. «Mentre per usare il computer bisognava cambiare la propria routine e sedersi da qualche parte, telefoni intelligenti e iPad si integrano nel flusso dei nostri comportamenti». Al supermercato vedi un prodotto e prima di comprarlo passi il codice a barre sull’iPhone che subito fornisce il miglior prezzo trovato online per quello stesso oggetto. Con Netflix si può noleggiare un film e vederlo immediatamente; metti l’iPhone davanti alla radio e viene fuori il titolo e il testo della canzone che stanno trasmettendo. Sei a Milano ma ascolti sulla radio l’Fm newyorkese di z100, e se vuoi un’altra canzone sull’iPhone basta che ne scandisci il titolo nel microfono. E grazie al Gps, che permette di sapere sempre dove sono i tuoi amici, è possibile passare in un attimo dall’interazione con gli altri nel mondo virtuale di Facebook a un incontro reale.

«La pervasività di internet nell’era dell’iPad ci sta spingendo verso il mondo reale con la stessa forza con cui negli ultimi 10 anni ci aveva portato verso l’universo virtuale» spiega Monica Fabris, presidente dell’istituto di ricerca Gpf, specializzato in indagini sui cambiamenti introdotti dalle innovazioni digitali. «Ma invece di ritrovarci nella realtà anonima e fredda di Matrix questi nuovi strumenti riscaldano la vita: il problema non è quello dell’eccesso di informazione ma della sovrabbondanza di interazioni e relazioni». Il «cloud computing», il collegamento costante alla nuvola di dati della rete sempre aperta, cambia i valori più velocemente della capacità di adattarci al nuovo. Non ci siamo ancora abituati all’annullamento del confine che separa il lavoro dal tempo libero (ormai siamo sempre collegati con email e messaggini) che ecco che arriva un’applicazione che trasforma la vita in un gioco. Si chiama Foursquare, è l’ultimo successo tra i social network accessibili da iPhone, e vince chi fa più punti entrando in un ristorante, andando a un museo, incontrando l’amico che partecipa alla stessa caccia al tesoro. Unica condizione: dimenticare principi che sembravano inalienabili come quello del diritto alla privacy.

Fra apocalittici e integrati dalla tavoletta c’è chi vede all’orizzonte cambiamenti se possibile anche più insidiosi. Citando studi come quello di Michael Merzenich, un neuroscienziato dell’Università della California a San Francisco, che ha dimostrato che l’esposizione al web ha la capacità di cambiare a livello neuronale il nostro cervello, lo scrittore Nicholas Carr sostiene che la vita online ci rende stupidi: «La gente che guarda in continuazione video o passa da un link all’altro ricorda meno di chi si immerge in un testo tradizionale» afferma in The shallows (I superficiali), il suo saggio appena uscito negli Stati Uniti col sottotitolo «Che cosa internet sta facendo ai nostri cervelli». «La gente che è continuamente distratta da email, messaggini e allarmi vari capisce meno ed è meno produttiva di chi fa una sola cosa alla volta».

Ma c’è anche chi pensa che seguire il proprio «palinsesto personale», come Fabris definisce la vita spesa passando da una foto appena arrivata via email a un video su Youtube, segni l’inizio di una nuova era che ci renderà invece più intelligenti: «Grazie ai media digitali, circa 1 miliardo di persone è collegato all’interno dello stesso network che permette di accedere a una sorta di surplus cognitivo. La verità è che prima che internet diventasse pervasiva abbiamo passato più tempo a guardare telefilm che non a leggere Marcel Proust. La rete sempre a portata di mano in effetti riporta al centro della nostra cultura la lettura, la scrittura, l’informazione».

Fu nel 1984, a una conferenza di hacker, che Stewart Brand, fondatore di The well, una delle prime comunità online, se ne uscì con la frase divenuta poi il manifesto di internet: «L’informazione vuole essere libera ». In nome di questa filosofia che mette al centro del mondo «il potere generativo del web» (come lo definisce Jonathan Zittrain di Harvard) interi settori industriali sono andati in crisi: i sistemi di scambio di file come Napster e Limewire hanno distrutto l’industria discografica, ridimensionato Hollywood, costretto il sistema televisivo a traghettare i propri programmi dallo schermo al computer senza una chiara idea di come sopravvivere nel nuovo ambiente. Nel frattempo le aziende editoriali si sono ritrovate a cercare di far pagare su carta gli stessi contenuti che mettevano gratis online, in una contraddizione resa irrisolvibile dagli scarsi profitti generati dalla pubblicità sulla rete.

Ma la stessa forza centripeta che dalla realtà virtuale porta al mondo reale percepito attraverso l’iPhone e le tavolette rappresenta anche un passaggio dalla fase distruttiva a una nuova era più costruttiva della rete. Al centro dell’universo di iPhone e iPad, o di Kindle, non c’è il caotico web, ma un negozio di applicazioni ognuna delle quali deve essere approvata dalla Apple o dalla Amazon. Dal caos della rete stiamo transitando a un nuovo ordine fatto di galassie chiuse in cui quello che ha valore ha anche un prezzo. E dall’era della quantità si passa a quella della qualità. «Credo fermamente che la democrazia dipenda dall’esistenza di una stampa libera e in salute» ha detto per esempio Jobs alla conferenza D8 organizzata dal Wall Street Journal. «Non voglio vederci degradati a una nazione di blogger, e qualsiasi cosa si possa fare per aiutare i quotidiani a trovare nuovi strumenti d’espressione che li portino a fare profitti mi trova d’accordo».

Non c’è da stupirsi se la promessa della nuova era raccoglie sempre più seguaci. Entusiasta è Rupert Murdoch, che più di tutti si batte contro l’anarchia di internet e che già ha convinto più di 1 milione di lettori a pagare per accedere al suo Wall Street Journal: «La cosa che più mi sorprende è che ci sono almeno 100 mila persone abbonate sia al giornale su carta sia alla versione su iPad, e che preferiscono leggere quest’ultima quando sono fuori casa». Nei blog si dice che come una volta si stampava così oggi si scarica sull’iPad, il nuovo foglio di carta elettronico.

Secondo le statistiche della casa edtrice Condé Nast, i lettori passano in media circa un’ora a sfogliare riviste come Wired o Gq sull’iPad. E per fare pubblicità sulla tavoletta le aziende accettano di pagare cinque volte più che per i siti online (comunque la metà rispetto alle tariffe della carta stampata). «Ricordate i giorni in cui si diceva che l’informazione vuole essere libera?» chiede ridendo David Remnick, direttore del settimanale New Yorker. «Se mostravi qualche dubbio, subito ti dicevano che non avevi capito niente. Beh, io preferisco non avere capito niente piuttosto che abituare i giovani a pensare che il mio prodotto è gratuito come l’acqua fresca. La verità è che richiede un grande investimento giornalistico, per cui alla fine bisogna pagare».

Alla stessa conclusione sono arrivati Niklas Zennstrom e Janus Friis, che dieci anni fa crearono il sito Kazaa dove si rubavano canzoni e che più tardi hanno fatto miliardi con Skype. Adesso, in accordo con le case discografiche, stanno lanciando Rdio, un’applicazione che permetterà di ascoltare migliaia di canzoni in cambio di 5 dollari al mese.

La loro è una delle inziative che attenta al quasi monopolio della Apple, che attraverso iTunes controlla il 70 per cento delle vendite di musica online. Per arrivare a questa posizione Steve Jobs lanciò una sorta di guerra contro le case discografiche: nell’approccio a nuovi mercati come quello dei libri il suo atteggiamento è molto più conciliante, forse perché sa già che il futuro è radioso.

Già ora i libri elettronici fatturano 313 milioni di dollari l’anno, secondo le ricerche destinati a salire a 3,2 miliardi nel 2012. In Italia la Mondadori si appresta a offrire circa 1.400 titoli in versione digitale. Dopo che la Amazon ha aperto la strada vendendo oltre 3 milioni di Kindle, e offrendo tutti i suoi titoli elettronici al prezzo scontato di 9,99 dollari ciascuno, sull’iPad ogni editore può scegliere che prezzo dare ai suoi volumi: in soli 65 giorni sono stati comprati su iTunes oltre 5 milioni di libri. E mentre la Amazon pensa a una nuova versione del Kindle, con uno schermo ancora più sottile e vivido, uno scrittore di best-seller come David Baldacci (suoi Il biglietto vincente, L’ultimo eroe…) ha deciso di usare lo schermo a colori e la possibilità di vedere video dell’iPad per una versione arricchita del suo ultimo romanzo Deliver us from evil: come un dvd il libro elettronico comprende un video dell’autore al lavoro, le foto che ha usato per la sua ricerca, passaggi tagliati dal testo finale.

Nella tavoletta è contenuto anche il futuro del libro? «Io non credo che il Kindle eliminerà il libro fisico. Se sono a casa preferisco leggere quello, quando viaggio metto in valigia il Kindle» dice Baldacci. «Ma sono anche convinto che sia mio dovere essere dove vanno i lettori, e che gli ebook stiano già trasformando il modo di leggere dei ragazzi».

Il futuro è tracciato, resta solo da capire chi lo controllerà. Wall Street non sembra avere dubbi: di recente la borsa americana ha valutato la Apple più della Microsoft. Steve Ballmer, amministratore delegato del colosso di Seattle, ha ammesso di non avere approfittato del mercato dei telefoni intelligenti e ha promesso di tornare protagonista con le tavolette operanti con il sistema operativo Windows. Ma la verità è che quello per il controllo dell’internet mobile sembra profilarsi come uno scontro tra Apple e Google. Una battaglia in cui la tecnologia si intreccia all’ideologia. «Ci siamo trovati di fronte a un futuro in cui un uomo, un’azienda, uno strumento, un fornitore di servizi intendeva essere la nostra unica scelta» ha detto Vic Gundrota, dirigente della divisione mobile della Google, parlando della Apple di Steve Jobs. «È un futuro che non vogliamo». In apparenza la Google, che produce il sistema operativo Android presente sia nei cellulari intelligenti sia in una tavoletta di cui si prevede l’uscita a fine anno, propugna un sistema aperto che vede ancora al centro i suoi software gratuiti. Ma accanto a questo approccio Google rincorre anche Apple offrendo circa 50 mila applicazioni.

«La verità è che ci sono almeno cinque gruppi che hanno la conoscenza e la tecnologia per controllare e monetizzare l’immensa mole di informazioni sui consumatori generata dall’uso di internet: Google, Microsoft, Amazon, Yahoo e Apple» enumera Frederic Filloux, che con Jean Luc Gassè compila il blog Monday Note. Unito alla crescita di cellulari e tavolette questo fenomeno porterà secondo lui al ridimensionamento della piattaforma libera e caotica. Apocalittico e pessimista, Filloux pensa che questo sia un male, ma per la prima volta molti tra i grandi visionari della rete non sono d’accordo con lui.

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