A Teardrop for Kodak

Questo è un colpo basso. Quelli della mia generazione sono terribilmente affezionati al marchio KODAK, tutti ma proprio tutti abbiamo in qualche libreria interi album di foto rigorosamente stampati con la loro carta ed ogni volta che si andava (pensandoci bene... fino a pochi anni fa) dal fotografo a ritirare i rullini (anche quelli spesso erano Kodak) provavamo una frenesia speciale spulciando le foto appena stampate, i ricordi prendevano vita con un sorriso stampato sul nostro viso.
Ora è tutto cambiato, dilaga la foto-mania, al limite della bulimia: un'orgia di immagini, la maggior parte delle quali meriterebbe solo il cestino virtuale messo sul desktop. ONORE alla Kodak, noi non dimenticheremo quel marchio e quelle emozioni ad esso indissolubilmene legate . Bye, Rex

Chiude la Kodak - addio fabbrica dei ricordi
Il titolo crolla in Borsa, fallimento pilotato per l'azienda che spera nelle stampanti


ROCCO MOLITERNI per La Stampa

La chiamai “Kodak” perché era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi depositati, non significava nulla»: così George Eastman spiegava la nascita di quel nome che per noi invece ha significato fino a ieri «fabbrica dei ricordi». Fino a ieri, perché ieri la celebre casa americana produttrice di pellicole, fondata dallo stesso Eastman nel 1888, ha avviato la procedura di fallimento, travolta dal digitale e dalle nuove tecnologie. La Kodak ha segnato la storia della fotografia: con lo slogan «voi premete il pulsante, noi facciamo il resto» e con gli apparecchi «usa e getta» ha portato la democrazia nel mondo dell’immagine, facendoci sentire tutti un po’ fotografi. Giallo era il colore degli involucri che avvolgevano i suoi rullini, giallo anche quel tono di sottofondo che dava un inconfondibile calore alle fotografie scattate con quelle pellicole e stampate su quella carta.
Parliamo, per chi oggi fa le foto con il telefonino, di un’epoca preistorica, quando prima di partire per un viaggio andavi dal fotografo o dal tabaccaio e decidevi quali e quanti rullini comprare. A priori dovevi però scegliere se volevi le foto in bianco e nero o a colori. In genere chi nascondeva sotto sotto l’ambizione di diventare un Cartier-Bresson puntava sul bianco e nero. Chi invece già pregustava il piacere (un po’ sadico) di quando avrebbe tenuto inchiodati per ore gli amici a guardare decine di diapositive dell’Islanda o del Botswana, sceglieva il colore. E anche il numero contava: se era un weekend o il battesimo del cuginetto magari bastava il rullino da 24 pose, se invece era il viaggio dell’anno ti attrezzavi con rullini da 36.

Oggi chi collega al computer la memoria dell’apparecchio digitale e vede quasi in tempo reale quello che ha scattato non può forse capire la sottile magia e quel pizzico d’apprensione che c’era nel rito di andare a «ritirare le fotografie». Perché non sapevi mai quali sorprese ti potessero attendere. Magari mentre caricavi il rullino questo aveva preso un po’ di luce, così le prime cinque o sei foto (ovviamente quelle in cui una ragazza conosciuta proprio la mattina prima di tornare a casa ti sorrideva e tu pensavi di mandarle lo scatto per conquistarla) erano uscite «bruciate» e al posto di quel sorriso c’era solo una macchia arancione. Oppure la festa di paese con le luminarie, che eri sicuro di aver ripreso fin nei più piccoli particolari, si rivelava un insieme di immagini «mosse» in cui non distinguevi né il santo e neppure il paese. D’altro canto a volte dimenticavi per mesi di andare a «ritirare» quelle fotografie e quando lo facevi quasi ti stupivi di aver vissuto tu quei momenti.

Allora la fotografia era soprattutto una questione di tempo: tempi di esposizione, tempi di stampa, tempi per far rivivere i ricordi. Ma era anche una questione di spazi: i momenti che avevano scandito la vita dei nostri nonni, fissati in immagini di carta, avevano bisogno di una scatola o almeno di un cassetto. Ai nostri genitori, quando ormai per raccogliere le fotografie trionfava l’album, con le linguette d’angolo e le pagine trasparenti tra un foglio e l’altro, serviva quasi un armadio per una sola cerimonia di nozze. Oggi puoi mettere una vita in un solo Cd e Kodak diventa sinonimo di nostalgia.

Ma non tutto il digitale vien per nuocere e in fondo hai il vantaggio di poter realizzare quante immagini vuoi. Semplicemente si è spostato il momento della scelta e, come nella vita, quello della maturità. Ai tempi della Kodak dovevi decidere nell’attimo in cui scattavi quello che era importante e quello che non valeva la pena di ricordare. Adesso puoi fermare in teoria un numero mostruoso di immagini, ma quando le hai sul computer devi comunque decidere cosa salvi e cosa no. Perché, siano sulla carta o siano sul video, gli attimi che vale la pena di rivivere non sono mai infiniti.

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