Carestia Mondiale: le scelte incomprensibili

Nuovo approfondimento sul tema carestia e aumento dei prezzi dei generi alimentari di base.
Mi sento solo di sottoscrivere e riportare di seguito un passaggio che troverete nell’articolo, un’affermazione del 2001… 7 anni per riuscire a peggiorare il quadro globale, bel risultato. Complimenti ai cosiddetti esperti (?) e a chi ha sponsorizzato il bio-etanolo. Bye, Rex

“In un mondo che straripa di abbondanza è uno scandalo vergognoso che 826 milioni di persone soffrano di fame e che 36 milioni muoiano ogni anno per mancanza di cibo.”


FAME: PERCHE' L'INCUBO STA CRESCENDO

• da La Repubblica del 27 maggio 2008, pag. 45 di Federico Rampini


Una folla armata di bastoni incendia cataste di pneumatici e dietro il fumo spesso affronta la polizia in una selvaggia guerriglia urbana a Mogadiscio, in Somalia. Il governo delle Filippine è costretto ad annunciare una distribuzione d’emergenza di riso alla popolazione di Manila. L’India proibisce per legge alla Borsa di Mumbai le transazioni finanziarie sui "futures" di derrate agroalimentari. Accaduti nello stesso giorno, questi tre eventi sono le facce della stessa crisi. Tra spirale inflazionistica e strozzature degli scambi sui mercati mondiali, lo spettro della fame torna ad allungarsi su tutto il pianeta. Il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick avverte che di colpo «cento milioni di persone stanno sprofondando nella denutrizione», e di conseguenza almeno trenta paesi rischiano di precipitare nell’instabilità politica e nella violenza. Il World Food Programme - l’agenzia Onu specializzata negli aiuti alimentari si trova a corto di fondi e lancia un Sos ai paesi membri. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, convoca un vertice straordinario sulla fame ai primi di giugno a Roma.

L’allarme dilaga rapidamente dall’Africa all’Asia all’America latina, dove il governo di Haiti è stato travolto e costretto alle dimissioni dopo le rivolte per il caro-alimenti. Perfino negli Stati Uniti, la nazione più ricca del mondo, l’Amministrazione Bush è costretta ad aumentare i "food stamps" - buoni per la distribuzione di cibo - ai suoi cittadini poveri. Il flagello della fame naturalmente è sempre esistito. Lo studioso svizzero Jean Ziegler, assumendo il suo incarico di ispettore speciale dell’Onu sul "diritto all’alimentazione", nell’aprile 2001 dichiarava: «In un mondo che straripa di abbondanza è uno scandalo vergognoso che 826 milioni di persone soffrano di fame e che 36 milioni muoiano ogni anno per mancanza di cibo». Ma la crisi del 2008 ha caratteristiche inedite. Non colpisce soltanto i diseredati, quella fascia della popolazione mondiale che vive sotto la soglia della povertà estrema cioè con meno di un dollaro al giorno. L’inflazione che ha raddoppiato i prezzi di grano e mais negli ultimi due anni, e ha rincarato del 150% il riso dall’inizio del 2008, stavolta fa soffrire anche quelle popolazioni urbane dei paesi emergenti che si erano affrancate dalla fame. Lo dimostrano i "tumulti del pane e del riso" che sono scoppiati negli ultimi mesi. Da anni ci eravamo abituati a considerare la denutrizione come un male quasi circoscritto all’Africa subsahariana. Invece le proteste attuali divampano in tutt’altre zone del mondo, in aree che erano state beneficiate dalla crescita economica recente. Dal Cairo a Manila, da Giacarta alle città del Marocco e della Giordania, le manifestazioni e gli scioperi contro il caro-alimenti sono un fenomeno urbano. Il Pakistan ha dovuto distribuire "tessere di razionamento", la Siria e l’Egitto hanno concesso d’urgenza aumenti salariali del 25% ai propri dipendenti pubblici, non certo il ceto più debole della società. La fame che invade le città è politicamente la più destabilizzante perché colpisce categorie sociali agguerrite.

Per le sue caratteristiche del tutto inusuali, questa emergenza ha colto gli esperti impreparati. Nessuno l’ha vista arrivare perché non corrisponde alla tipologia delle crisi alimentari del passato. Il mondo aveva traversato periodiche fiammate d’inflazione da penuria dei generi agroalimentari - con i gravi disagi concentrati nelle popolazioni povere - ma la causa scatenante abitualmente era un crollo di raccolti, a sua volta provocato da calamità naturali come siccità o inondazioni. Oppure la scarsità di cibo era l’effetto collaterale di emergenze umanitarie in paesi colpiti da conflitti militari, guerre civili, genocidi etnici. In ogni caso il problema era quasi sempre l’insufficienza di alimenti disponibili provocato da una crisi nell’offerta, secondo il termine usato dagli economisti. Oggi invece siamo di fronte a una crisi provocata dalla domanda. La vera novità è stata l’esplosione dei consumi alimentari in aree del mondo a forte crescita economica (Cina e India, ma non solo). Su quel trend di lunga durata, così potente da avere alterato gli equilibri mondiali, si sono innescate reazioni e controreazioni che hanno peggiorato i problemi facendoli precipitare.

L’economista Jeffrey Sachs che ha diretto il Millennium Project delle Nazioni Unite sintetizza così le quattro cause dell’emergenza alimentare: «La prima è la produttività cronicamente bassa dei contadini nelle nazioni più povere, perché non possono permettersi l’acquisto di sementi e fertilizzanti, né l’accesso all’irrigazione. La seconda è la politica sbagliata del sostegno ai biocarburanti perseguita da Stati Uniti e Unione europea. La terza è il cambiamento climatico. La quarta è la crescita della domanda globale di alimenti, provocata dall’aumento dei redditi di popolazioni gigantesche». A ben vedere tuttavia il secondo e il quarto fattore sono quelli veramente nuovi e dirompenti nell’immediato. I loro effetti si sovrappongono. La domanda di granoturco per il bioetanolo è entrata in diretta concorrenza con l’uso del granoturco come mangime animale. Centinaia di milioni di famiglie asiatiche che hanno conquistato solo di recente l’accesso a diete alimentari più ricche - carne inclusa - entrano in competizione con le nostre (e loro) automobili per gli stessi raccolti. Gli equilibri dei mercati mondiali sono stati stravolti da questo aumento della domanda di consumo, di proporzioni tali che nessuno lo aveva previsto.

Le reazioni dei governi fino a questo momento non hanno fatto altro che aggravare la crisi. Gli errori sono equamente ripartiti tra i paesi ricchi dell’Occidente e le nuove nazioni emergenti. Tutti hanno fatto la loro parte per accelerare la spirale. La corsa ai biocarburanti fa sì che negli Stati Uniti un terzo del raccolto annuo di granoturco è "sequestrato" dall’industria produttrice di etanolo, grazie ai generosi incentivi fiscali. Da tempo ormai gli scienziati ambientalisti hanno dimostrato che i biocarburanti non riducono le emissioni di C02 ma su questo business ormai campa una lobby potentissima che non demorde. L’Unione europea continua a essere circondata da alte barriere di protezionismo agricolo che hanno effetti disincentivanti sulla produzione nei paesi dell’emisfero Sud. I governi asiatici e africani hanno reagito ai disordini sociali "sterilizzando" i mercati internazionali delle derrate agricole fin quasi a soffocarli. Con l’intento dichiarato di dare la precedenza all’autosufficienza alimentare per le proprie popolazioni, i più grossi produttori mondiali di riso - Cina India Thailandia e Vietnam - hanno limitato le proprie esportazioni. E’ una corsa all’accapparamento di alimenti che colpisce i più deboli: i paesi che non producono abbastanza hanno un disperato bisogno dell’accesso ai mercati mondiali per sfamare i propri abitanti.

La crisi attuale mette alla prova la teoria del Premio Nobel indiano Amartya Sen, secondo il quale le democrazie non producono carestie, perché consentono la libera espressione delle proteste sociali e quindi reagiscono più efficacemente. Certo le dittature non sono un modello: la carestia provocata dopo il ciclone in Birmania da una giunta militare che rifiuta gli aiuti esteri ne è l’ennesima prova. Ma finora in questa crisi alimentare anche le democrazie hanno compiuto errori madornali, dai sussidi ai protezionismi. La nuova fame è a tutti gli effetti un fenomeno politico: non nasce da eventi naturali ma da errori di calcolo, imprevidenza, misure demagogiche e controproducenti.

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