Lucio Dalla - Tu parlavi una lingua meravigliosa

La polemica dopo giorni è diventata davvero stucchevole e indegna, di fronte alla morte di un grande artista ora molti si concentrano sulle sue preferenze sessuali, sulla sua presunta fede, sulla sua diversità mai dichiarata. Ma BASTA, tirate fuori dalla vostra collezione un vecchio disco impolverato e ricordatelo con le sue gemme, quelle più lontane, magari con i testi del poeta Roberto Roversi. E rispettate le sue scelte, senza sterili e miserrimi dibattiti. Bye, Rex

Lucio Dalla, la privacy senza maschere
GIANNI RIOTTA per La Stampa






E si farà l’amore, ognuno come gli va...»: il verso della più bella canzone di Lucio Dalla, «L’Anno che verrà», esprime alla perfezione filosofia ed etica dell’artista: liberale, tollerante, discreto. Delle scelte personali, familiari, di preferenza sessuale, Dalla non ha mai voluto parlare in pubblico, neppure quando il clima culturale italiano, ormai assai meno conservatore dei giorni del suo debutto, avrebbe accettato senza problemi una netta dichiarazione di stili di vita.

Pur consapevole dell’affetto del pubblico e della maturazione dell’opinione pubblica, mai Dalla ha deciso di affrontare il tema e solo le persone a lui più vicine, la famiglia, gli amici cari, sanno perché, se per privacy di star abituata da sempre al palcoscenico, pudore di sentimenti da italiano nato il 4 marzo 1943 o discrezione di cattolico ai nostri difficili tempi, tra precetti di fede e tumulto di vita. In uno dei suoi testi vintage, il poco ascoltato retro del 45 giri di Sanremo 1967 «Lucio dove vai?» si chiede «Lucio chi sei tu?

Un vestito diverso non ti cambierà... Lucio chi sei tu? Perché hai coperto col berretto rosso il grigio che c’è in te? E non sai più perché lo fai. Ridi, ridi. Lucio come stai? Le tue bugie ora le pagherai.

Lucio come stai? Cosa salvi dei momenti colorati che tu chiami vita?...». Un poeta sa dire la verità, anche senza virgolette no?

Chiusa la cerimonia nella cattedrale della sua città, invece, Dalla è stato trascinato in un dibattito postumo sull’outing, la decisione degli omosessuali di vivere a viso aperto la loro vita. C’è chi lo ha criticato per non averlo fatto, chi ha obiettato al doppio standard - tanti davano per inteso che Dalla fosse gay, ma senza dichiararlo -, chi ha accusato i cattolici di ipocrisia per la messa, chi ha preferito prendersela tout court con il nostro Paese, sempre pronto a far finta di nulla e tirare a campare. Coinvolti nella rissa i familiari, ignari e ancora in lutto.

Mi sono chiesto che cosa Dalla avrebbe detto del can can: credo nulla, credo avrebbe, ancora una volta, glissato. Le sue idee di amore, sentimenti, famiglia, erotismo, rapporti stabili o casuali, sensualità, affetti, passioni, flirt, matrimonio, fedeltà, innamoramento, desiderio, le abbiamo chiarissime dalle sue canzoni. Come Lucio la pensasse davvero sulle questioni cruciali di cuore, anima e corpo lo apprendete, amandole, dalle sue parole e note. Il «dibattito» cacofonico e greve, non aggiunge nulla.

Dalla ha fatto una scelta di assoluto riserbo, ma senza nascondersi o mascherarsi, niente false «fidanzate», «girlfriend» o «mogli» per lui come per altri artisti. Ho avuto modo di osservare su Twitter che sarebbe stato opportuno rispettarne il riserbo, non per ipocrisia, tartufesca prudenza o sessuofobia becera. Perché è giusto che ciascuno scelga la propria identità, pubblica, privata, di affetti e valori, e che tutte abbiano pari dignità nella nostra comunità finalmente capace di «fare l’amore ognuno come gli va». Discriminazioni contro qualunque identità sono odiose e vanno contrastate. Ma anche la scelta di tenere per sé e i propri cari l’intimità più importante va tutelata, per le star e per gli sconosciuti. Non è «vergogna» o negazione di sé, è rispetto, vera tolleranza. Nessuno ha il diritto di imporre agli altri un codice, qualunque questo codice sia, e schierare i morti a dispetto della loro volontà da vivi non è anticonformista, è un po’ maramaldo ed è bene che non diventi norma di un Paese civile. Lucio Dalla lo sapeva già, cantando in «Disperato erotico stomp». «Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale...».

Tu parlavi una lingua meravigliosa
I sassi della stazione sono di ruggine nera
sto sotto la pensilina dove sventola adagio una bandiera.
In un campo una donna si china su due agnelli appena nati
striscia al vento nudo sopra il fuoco...il fuoco violento dei prati.
Un uccello, isolato, raccoglie sopra un vagone abbandonato
il cielo grande d'ottobre e gli strappa il fianco bianco e gelato,
intorno, dopo la notte, ci sono tronchi sporchi di mosto
e mille macchine in fila laggiù in un deposito nascosto.
Apro il giornale e provo a leggere per nascondermi un poco
mentre lei parla ad un uomo ed io riconosco il suo suono un poco roco.
Chiudo il giornale, la guardo, lei è voltata e non mi vede,
i capelli sono biondi e sono tinti; dunque lei alla vita non cede.
Vuoi guardarmi?
Occhio della mente, occhio della memoria
una donna è vecchia quando non ha più giovinezza
e ascolto la marea del cuore perchè siamo vicini.
L'ho ritrovata per caso ma non è più una ragazza.
Vorrei chiamarla e dirle
le volpi con le code incendiate non parlano ma gridano pazze
fra gli alberi per il dolore.
Sediamoci per terra oppure là sopra panchine imbiancate,
sediamoci sopra un letto di foglie secche ed ascoltiamo il nostro cuore.
Ci siamo scordati e perduti
ti ritrovo adesso all'improvviso dentro una piccola stazione
in un giorno grigio d'ottobre
tu non mi guardi neppure io solo ho l'inferno nel cuore
perchè la vita è una goccia che scava la pietra del viso.
E ogni mattina, ogni sera io parto e ritorno da solo
come il ragazzo che ero.
Non posso più bruciare in un volo
il treno arriva, si ferma
la mia ombra sale parte scompare
io ti vedo giovane ancora
come in un sogno dileguare.

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