Fast Food Nation


Prendendo spunto da una notizia apparsa sul Corsera sul tema Fast Food, vi consiglio un film visto qualche tempo fa che riesce a mischiare in una storia convincente e senza retorica tematiche sociali attualissime, tra immigrazione, sfruttamento del lavoro, massimizzazione dei profitti e corporativismi. Buona visione, Rex

Il fast food ci rende impazienti

Ci spinge a essere precipitosi, meno parsimoniosi, più propensi alla fretta anche quando non ce n’è bisogno

Fast Food Nation
[USA, 2006, Drammatico, durata 116'] Regia di Richard Linklater
Con Greg Kinnear, Kris Kristofferson, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Luis Guzman, Catalina Sandino Moreno

Il fast food ci rende impazienti (dal Corsera)

I detrattori dei fast food hanno molte frecce nel loro arco: i ristoranti «con l’acceleratore» sono una fucina di futuri obesi, ci fanno ammalare con i loro pasti ipercalorici, scompaginano la nostra educazione alimentare invogliandoci a rimpinzarci di panini e patatine. Ora l’elenco dei difetti della cultura del cibo veloce si allunga ancora: il fast food infatti sarebbe deleterio perfino sui nostri comportamenti, secondo una ricerca uscita su Psychological Science.
ESPERIMENTI – Chen-Bo Zhong e Sanford DeVoe, due ricercatori della Rotman School of Management di Toronto, in Canada, hanno scoperto infatti un «effetto collaterale» dei fast food a cui pochi forse avevano pensato finora. I panini inghiottiti al volo ci renderebbero infatti impazienti, precipitosi anche quando potremmo prendercela comoda, più propensi a scegliere un uovo oggi che una gallina domani. Non sono ipotesi, ma risultati ottenuti dai due scienziati in una serie di esperimenti che hanno coinvolto alcuni volontari esponendoli a una specie di messaggio subliminale: prima dell’esperimento guardavano un video al computer dove, in alcuni casi, comparivano simboli legati al fast food (come il marchio di alcune note catene di ristoranti) per pochi millisecondi. Un lampo, tanto da non essere avvertiti in maniera consapevole. Ma sufficiente a modificare i comportamenti nelle prove successive: chi aveva visto il segnale del fast food leggeva più velocemente un testo che gli era sottoposto, anche se non avrebbe ricavato alcun vantaggio nel finire prima; oppure sceglieva un piccolo pagamento subito al posto di un premio in denaro più consistente ma dopo qualche tempo; o, ancora, optava per prodotti «risparmia-tempo» come gli shampoo con il balsamo «due in uno», anziché scegliere prodotti standard oltretutto più economici.

IMPAZIENZA – Questa, secondo i due ricercatori, è la prova che l’abitudine al fast food ci ha reso frettolosi, inclini alla gratificazione immediata. «Il fast food è nato come simbolo dell’efficienza moderna: consente di mangiare veloce per poi dedicarsi al lavoro o ad altre attività – dice Zhong –. Il problema è che il fast food sembra aver attivato in noi la voglia di risparmiare tempo anche quando non è necessario al contesto: camminare in fretta per arrivare a una riunione in tempo è giusto, ma spingere un passeggino al parco come se stessimo partecipando a una gara dei cento metri non ha senso. Ed è invece ciò che ci sta accadendo: secondo i nostri esperimenti, basta semplicemente esporci a un simbolo che richiama alla mente il fast food per innescare in noi fretta e impazienza». È come se il fast food stesse sempre lì a ricordarci che non possiamo perder tempo, mai. «Abbiamo innescato un meccanismo per cui è cambiato il modo in cui gestiamo il nostro tempo, anche quello libero: un’attività che dovrebbe solo rilassarci finisce per essere vissuta quasi con insofferenza – aggiunge DeVoe –. Può darsi che il fast food sia la causa di questa visone sempre più accelerata dei nostri tempi, o che ne sia solo una conseguenza. Di certo però il fast food rinforza questa nostra tendenza alla velocità e all’irrequietezza».

Fast Food Nation (da Film.TV.it)

L'intelligenza al lavoro è notevole in questo film che indaga sui veleni nascosti nei cibi che mangiamo

Linklater fa forse il suo film più meditato, pensoso, "inevitabile"; ed è sorprendente proprio nella scelta di costruire un universo polifonico che eviti la magnoliata e che si racconti da sé senza forzature, seguendo un percorso orizzontale che scansa i climax come le facili soluzioni. Rispetto a Super Size Me e ai documentari di Michael Moore, la fiction di Linklater (tratta dal libro di Eric Schlosser) non è grossolanamente popolare né cerca l'effetto emotivo shock: è invece un dramma capace di scivolare tra le pieghe dei paradossi della realtà; e indaga non alcuni segni nevralgici dell'oggi (corporativismo, immigrazione, lavoro nero, ideologia no global), bensì la loro funzionalità nella vita di tutti i giorni. Ed è qui che nascono le contraddizioni, perché tutto è concatenato. L'intelligenza al lavoro è notevole: lo si capisce dai personaggi, dai dialoghi, da certi incontri a due, da una messinscena di sobrietà invidiabile. Se riuscite, non perdetelo.

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