Le Nuove Coppie e i Mariti Moderni

Cari mariti del terzo millennio, vi siete adeguati alle nuove regole che consentono di salvare la famiglia? Le statistiche parlano chiaro, la collaborazione sul piano pratico è fondamentale per non rischiare il crollo del rapporto. Si lavora e si fatica in due, ci si divide i compiti da bravi "colleghi" domestici intercambiabili. Per finire, una comunicazione di servizio: faccio di tutto e di più, ma senza il Mocio o il nuovo Rotowash... i pavimenti non li lavo!!! Bye, Rex

Le regole del nuovo modello di famiglia (Elena Loewenthal per La Stampa)
La crisi arriva quando ormai il danno è fatto. Ed è un vero peccato, perché forse sarebbe bastata una spolverata, un bacio della buona notte, la tavola apparecchiata prima che lei torni a casa sfinita dall’ufficio, dopo l’ennesima riunione.

La vita è fatta di piccole e grandi tragedie. Soprattutto delle prime, a quanto lascia intendere lo studio della prestigiosa London School of Economics. Ci viene spiegato qualcosa che sembra un’evidenza, ma finché non te la trovi davanti così seriamente documentata stenti quasi a crederci: i matrimoni finiscono, il più delle volte, per delle ragioni banali, ma vere. Non di rado per un equivoco in quel gioco delle parti che è il presupposto d’ogni vita di coppia: se lui si sente in obbligo di riparare lavandini che perdono, avvitare impervie lampadine, sappia che farebbe meglio a lavare i piatti e passare l’aspirapolvere. Nella famiglia moderna l’interscambiabilità dei ruoli è essenziale. Il principio è ovvio: se lei porta a casa reddito, perché lui non dovrebbe rifare il letto o cambiare il pannolino al pupo?

Eppure la realtà non corrisponde alle regole, e il modello attuale di famiglia è minato non tanto da vigliacchi tradimenti o crisi esistenziali, quando dallo stillicidio della quotidianità. Il marito deve sapere di essere a rischio se non è disposto a dare una mano nelle pulizie, se non fa la spesa, se non si occupa dei figli – non per impartire ramanzine ma anche e soprattutto per portarli a ginnastica o aiutarli a fare i compiti. In particolare, è deprecabile il marito che si rifiuta di mettere a nanna i bambini (cosa che non di rado è un’operazione snervante almeno quanto un cliente moroso o un attacco di narcisismo del capo). Questo ed altro basta per arrivare a un divorzio, non in nome di alati sentimenti o romantiche passioni (alternative). Piuttosto, con i piedi saldamente per terra. Anche se in fondo, forse, basterebbe capirsi. Lei trova naturale essere aiutata in casa, visto che lavora fuori come e magari più di lui. Lui fatica a rinunciare al proprio ruolo, anche perché è piuttosto comodo. Lui fa finta di non vedere gli sguardi d’odio, lei alza le spalle e pensa, «lo sapevo che sarebbe finita così». La crisi arriva quando ormai il danno è fatto. Ed è un vero peccato, perché forse sarebbe bastata una spolverata, un bacio della buona notte, la tavola apparecchiata prima che lei torni a casa sfinita dall’ufficio, dopo l’ennesima riunione.


Niente divorzio se lui fa le pulizie

Studio inglese: col marito "casalingo" la coppia è più solida
Se volete salvare un matrimonio ed evitare il divorzio convincete il marito a svolgere almeno una parte dei lavori domestici. Il consiglio viene da una imponente indagine condotta da Wendy Sigle-Rushton, una ricercatrice del «Department of Social Policy» della London School of Economics.

Lo studio ha analizzato i comportamenti di oltre 12 mila famiglie inglesi con figli e le ha catalogate in base ad alcune variabili tra le quali il fatto che la moglie svolga un lavoro remunerato all'esterno della famiglia e che il marito dia il proprio contributo ai lavori domestici. L'indagine ha studiato i comportamenti del campione di famiglie per oltre dieci anni. E si è così ricostruita la propensione al divorzio di ciascun modello di famiglia. Gli studiosi inglesi hanno ritenuto necessario precisare che cosa si intenda per aiuto domestico da parte del marito e hanno descritto quattro compiti considerati rilevanti: 1) la collaborazione alla pulizia della casa o alla spesa; 2) l'aiuto nella cura dei figli mentre la madre è impegnata; 3) la cura dei figli la sera; 4) il fatto di mettere i figli a letto la sera. Le famiglie sono state quindi catalogate in base al numero di compiti domestici svolti dal marito durante il giorno. Un rilievo particolare è stato dato all'attività del padre che si occupa dei figli mentre la madre è al lavoro. Si tratta dunque di attività che nel modello tradizionale di famiglia venivano sempre compiute dalla madre. Sono rilevanti lavori come preparare la tavola per il pranzo, passare l'aspirapolvere, rifare i letti, oltre a tutto ciò che riguarda la cura dei figli. Non vengono invece presi in considerazione altri compiti domestici, che invece frequentemente sono svolti dai mariti, come i lavori straordinari di manutenzione della casa, la riparazione di oggetti o l'acquisto di beni particolari di uso non quotidiano.

I risultati di questo lavoro sono sorprendenti. Fino agli anni 80 del secolo appena concluso si affermava infatti che solo la «specializzazione di genere» fosse un fattore di «stabilizzazione del matrimonio». È un modo per dire che maggiore è l'impegno delle donne in un lavoro remunerato all'esterno della famiglia, maggiore è il rischio di divorzio. Questa opinione trova effettivamente conferma nell'indagine inglese, ma è emerso che coesiste anche un fattore che opera in una direzione opposta: le probabilità di divorzio diminuiscono sensibilmente nelle famiglie in cui vi è una forte propensione del marito a svolgere più di uno dei quattro compiti domestici considerati. La propensione al divorzio subisce un'ulteriore drastica diminuzione se il marito si occupa dei figli mentre la moglie è impegnata nel suo lavoro remunerato all'esterno della famiglia. Ciò significa che, se i coniugi sono intercambiabili nello svolgere i compiti domestici, la famiglia è più solida.

Insomma, secondo gli inglesi, se il matrimonio va a rotoli la colpa è spesso del marito che non aiuta. Il lavoro e i numeri della ricerca inglese trovano conferma anche nell'esperienza quotidiana dei nostri tribunali. Il tradimento non sembra essere più la prevalente causa delle separazioni. Il matrimonio finisce senza che accada un fatto eclatante, ma semplicemente perché la vita assieme è troppo difficile e complicata. Se la moglie lavora, non sopporta di non essere aiutata a casa proprio in quelle attività tradizionalmente considerate femminili. Nei ricorsi per separazione presentati dalle signore (che sempre più spesso assumono l'iniziativa di rivolgersi al giudice) sono frequenti i racconti di mariti che la sera, invece di riordinare la cucina e mettere a letto i figli, escono con gli amici. Una signora, nel corridoio di un tribunale, ha detto al suo avvocato: «Per mio marito la partita di calcetto è sacra e la palestra è una priorità» e ha aggiunto, più rassegnata che addolorata, «faccia un po' quello che vuole!».

Le statistiche inglesi però non dicono una cosa. I pessimi mariti, dopo la separazione, talvolta diventano ottimi padri. Combattono per avere i figli durante la settimana e non solo per il week-end, per averli più tempo possibile durante le vacanze. Sono disposti a perdere una serie infinita di partite di calcetto pur di stare qualche ora con i loro bambini ed escono persino prima dal lavoro per andarli a prendere a scuola un pomeriggio alla settimana. Della serie: meglio tardi che mai.

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