Yes We CAN'T

Negli USA, come in Italia o in Europa: tutti i politici in tempo di elezioni si proclamano salvatori della Patria, promettendo riforme e cambiamenti, ma puntualmente si arenano nella burocrazia e compromessi che disarmano anche i più volenterosi. Persino Obama, su cui avevo scommesso anche io, ha manifestato la sua impotenza di fronte all'impossibilità di FARE. Dobbiamo deciderci a fare nostre le sagge parole del Mahatma Gandhi, non c'è alternativa. Bye, Rex
"I pensieri sono perle false finché non si trasformano in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo"
Non si può, ma si può (Massimo Gramellini per La Stampa)
Uno dei frutti velenosi di questa crisi è che abbiamo smesso di credere nel potere della democrazia di migliorarci la vita. Trovo emblematico il dissidio fra due pesi massimi del nostro immaginario, Steve Jobs e Barack Obama, ricostruito dal Wall Street Journal. Il padrone della Apple chiese al Presidente di garantire la carta verde (il permesso di residenza) agli stranieri che si laureavano in ingegneria negli Stati Uniti. Obama rispose che sarebbe stato felice di accontentarlo, ma che gli mancavano i voti per far approvare la riforma dal Congresso. Jobs si imbestialì: «Invece di farle, continui a spiegarmi perché le cose non si possono fare!». Il peggiore degli insulti per chi, come Obama, era stato eletto con lo slogan «Yes we can».
Il cittadino confuso e infelice si riconoscerà nel pragmatismo autoritario di Jobs. Uno che, non dovendo mediare con nessuno, poteva trasformare le sue visioni in azioni e i suoi progetti in oggetti. Obama incarna invece l’impotenza della politica, che anche quando si riempie la bocca e il cuore di cambiamento, deve misurarsi con i meccanismi della democrazia che ne rallentano e depotenziano le decisioni.
L’idea che per cambiare la politica basti cambiare i politici è una pia illusione che si rinnova a ogni campagna elettorale. Bisogna cambiare le regole: di funzionamento e di rappresentanza. La democrazia non è burocrazia e nemmeno una delega al santone di turno. È partecipazione alla vita della propria comunità. Si può ripartire solo da lì. Prima che i cittadini esasperati imbocchino la solita scorciatoia del dispotismo.

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