Quella Ricca Differenza
Rieccoci con il corsivo di oggi di Massimo Gramellini, l'unico giornalista a me noto capace di levarmi le parole di bocca e scriverle in modo chiaro, conciso e godibile. Ovviamente condivido in toto l'articolo di oggi, questa sottile differenza credo sia stata notata da milioni di Italiani, che sono capaci di ammirare le ricchezze costruite in modo lecito e non ostentate in modo cafonal. Bye, Rex
La Buona Ricchezza (Massimo Gramellini per La Stampa)
Certo voi comunisti siete strani arnesi, mi scrive un lettore che considera comunista anche Monti e in genere chiunque si collochi a sinistra dei tacchi della Santanchè. Finché c’era Lui, sostiene l’orfano del Bandana, disprezzavate la ricchezza come sterco del diavolo. Ma ora che al governo ci sono i papaveri delle banche che guadagnano milioni in consulenze, esaltate la ricchezza come misura del merito. Dov’è la coerenza, compagno?
Esimio signore, la sua opinione - pur complessivamente apprezzabile - mi sembra soffra di un certo squilibrio e non sarei del tutto scontento se lei mi concedesse l’opportunità di una replica. (Scusi il tono aggressivo, ma noi compagni del Monti ci esprimiamo così). Nascere ricchi è una fortuna. Diventarlo un merito (e una fortuna, perché tanti lo meritano e non riescono a diventarlo). Ma in entrambi i casi non si tratta di una colpa. La colpa è accumulare soldi rubando, corrompendo, evadendo. Ma il fatto di essere valutati dal mercato non rappresenta di per sé una vergogna. Lo diventa, a mio avviso, quando si esagera. Non solo nel guadagnare (certe disparità andrebbero attutite), ma nell’ostentare. A irritarmi, nella vecchia classe dirigente, non era la ricchezza, ma il modo in cui ci veniva di continuo sbattuta addosso: pacchianeria, sprechi, volgarità scambiata per vitalità. La cafonaggine è tenera in un povero, ma insopportabile in un ricco. Sono un piemontese moralista, mi perdoni, e non mi urta che Monti abbia i milioni. Mi urterebbe se li avesse rubati o se li usasse per cospargere il suo loden di brillantini.
La Buona Ricchezza (Massimo Gramellini per La Stampa)
Certo voi comunisti siete strani arnesi, mi scrive un lettore che considera comunista anche Monti e in genere chiunque si collochi a sinistra dei tacchi della Santanchè. Finché c’era Lui, sostiene l’orfano del Bandana, disprezzavate la ricchezza come sterco del diavolo. Ma ora che al governo ci sono i papaveri delle banche che guadagnano milioni in consulenze, esaltate la ricchezza come misura del merito. Dov’è la coerenza, compagno?
Esimio signore, la sua opinione - pur complessivamente apprezzabile - mi sembra soffra di un certo squilibrio e non sarei del tutto scontento se lei mi concedesse l’opportunità di una replica. (Scusi il tono aggressivo, ma noi compagni del Monti ci esprimiamo così). Nascere ricchi è una fortuna. Diventarlo un merito (e una fortuna, perché tanti lo meritano e non riescono a diventarlo). Ma in entrambi i casi non si tratta di una colpa. La colpa è accumulare soldi rubando, corrompendo, evadendo. Ma il fatto di essere valutati dal mercato non rappresenta di per sé una vergogna. Lo diventa, a mio avviso, quando si esagera. Non solo nel guadagnare (certe disparità andrebbero attutite), ma nell’ostentare. A irritarmi, nella vecchia classe dirigente, non era la ricchezza, ma il modo in cui ci veniva di continuo sbattuta addosso: pacchianeria, sprechi, volgarità scambiata per vitalità. La cafonaggine è tenera in un povero, ma insopportabile in un ricco. Sono un piemontese moralista, mi perdoni, e non mi urta che Monti abbia i milioni. Mi urterebbe se li avesse rubati o se li usasse per cospargere il suo loden di brillantini.