Crisi e Fame, nessun alibi!

Se la crisi è un alibi per tagliare gli aiuti ai Paesi poveri

da Il Sole 24 Ore del 17 dicembre 2008, pag. 1 di Alessandro Merli

Si avvicina il Natale e siamo tutti più buoni. O no?

Nell’ultima rubrica prima delle feste, «Mercati e Mercanti» fa anche quest’anno il punto sugli aiuti ai Paesi poveri e trova che, mentre nel 2007 i Paesi ricchi sembravano avviati a rispettare almeno parte delle loro molte promesse, nel 2008 hanno fatto marcia indietro.

Le più importanti di queste promesse sono quelle del vertice di Gleneagles di tre anni fa (il raddoppio degli aiuti di 50 miliardi di dollari) sotto la spinta delle bombe di Londra e dei concerti delle rockstar, e quella in sede Onu dell’aumento degli aiuti allo 0,7% del prodotto interno lordo dei Paesi donatori entro il 2015, quando, secondo i famosi obiettivi del Millennio, si dovrebbe dimezzare la povertà nel mondo.

Non più tardi di tre settimane fa, forse per il clima prenatalizio, o piuttosto per l’imminenza della riunione di Doha che doveva verificare i progressi sugli aiuti allo sviluppo, i Paesi industriali dell’Ocse hanno ribadito i propri impegni.

Mentono sapendo di mentire, almeno per quel che riguarda i "grandi" del G-7. Nel caso dell’Italia, la percentuale del Pil dedicata agli aiuti (0,19%) è lontana dalla media europea (0,39), e per di più sarà in calo quest’anno e il prossimo, soprattutto dopo i tagli della Finanziaria, e l’impegno di portarla allo 0,51% nel 2010 è irraggiungibile.

David Roodman, economista del Center for Global Development di Washington, ha elaborato un indice dell’impegno (quello vero, non a parole) per lo sviluppo, che comprende fra l’altro, oltre agli aiuti, commercio, immigrazione, investimenti e ci vede terz’ultimi fra i Paesi avanzati, davanti a Giappone e Corea.

Quest’anno, naturalmente, tutti hanno una buona scusa per non rispettare le promesse, e cioè la crisi economica e finanziaria globale. Purtroppo, la storia di queste crisi nei Paesi donatori insegna che gli aiuti ai poveri sono una delle prime vittime.

Persino Paesi come Svezia e Norvegia, il cui impegno su questo fronte non è in dubbio, dopo la crisi dei primi anni 90 tagliarono brutalmente gli aiuti (del 17 e del 10% rispettivamente) e impiegarono molti anni per recuperare i livelli precedenti.

Decisioni giustificabili, forse, ma che, se replicate oggi da tutti i donatori, rischiano di sommare sulle spalle dei più poveri del mondo il peso del taglio degli aiuti alla riduzione nel commercio, negli investimenti, nelle rimesse degli emigrati. Migliorare la qualità degli aiuti non può bastare a controbilanciare i tagli.

Da gennaio, l’Italia ha la responsabilità della presidenza di turno del G-8. E di fare in modo che questo peso, per molte centinaia di milioni di persone che già oggi sopravvivono a stento, non diventi insostenibile.

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