Crisi Mondiale nell'Economia Globale

Economia globale… Crisi Mondiale… Londra non fa eccezione, dai supermercati ai college ecco le nuove tendenze d’oltremanica per risparmiare i piccioli sempre più scarsi! Bye, Rex

Addio Londra da bere, ora fa chic il tre per due

da Il Riformista del 15 settembre 2008, pag. 7 di Anna Cimenti

Con la temperatura a dodici gradi e la pioggerellina autunnale che batteva, i sorrisi erano di circostanza. Ma chissà di cosa avranno parlato veramente Brown e Berlusconi, nel colloquio a Downing Street di mercoledì. A denti stretti, i due primi ministri hanno dovuto ammettere che nel loro incontro si sono affacciate anche le crisi parallele che Inghilterra e Italia stanno attraversando. E alle quali, va detto, i due paesi reagiscono in modi estremamente diversi, un po’ come la storia della cicala e della formica.

Più che nelle zone periferiche, dove da tempo la gelata del decennio dorato di Blair s’è fatta sentire, è nei quartieri residenziali e di moda, popolati da stranieri attratti dal mito della capitale del lusso e della qualità della vita, che i segni cominciano a vedersi. C’è già una forte inversione di tendenza che si traduce in richiami di manager e banchieri inviati nella City dalle banche europee che avvertono la contrazione dei mercati. Le feste d’addio si moltiplicano. Ma chi resiste, lo fa a prezzo di un personale codice di sopravvivenza i cui segreti passano di bocca in bocca.

Primo, evitare i supermercati di lusso, le cui inaugurazioni, soltanto un paio di anni fa, erano diventate eventi mondani quasi come gli openings delle mostre d’arte. I saloni di Whole Food, famosa catena americana di delicatezze, o di Marks e Spencer e Harrods, i più raffinati marchi locali di fascia alta dove, per dire, fino a poco tempo fa si poteva vedere la fila davanti al bancone della carne di gattopardo, o le gare a scegliere le aragoste più grandi, del Maine o del Mediterraneo, sono spesso desolatamente vuoti.

Funzionano ancora come snacks per i rari consumatori del lunch, ma non più per fare la spesa. Le file, piuttosto, si vedono la sera davanti agli ingressi di Waitrose e Sainsbury’s, i supermercati, come dire di fascia media, che tutti i giorni propongono special offers delle merci meno gradite. Così l’altra sera, davanti a Waitrose a Gloucester Road, nel cuore di South Kensington, era strano vedere la gente assieparsi per aggiudicarsi a metà prezzo la merce in prossimità della scadenza o meno diffusa, come una bistecca di maiale o un pezzo di pecorino sardo, che non possono essere riproposti sugli scaffali il giorno dopo! Tesco, la catena di supermarket a prezzi più popolari aperta ventiquattro ore su ventiquattro, non conosce crisi.

Ma gli scaffali sono spesso meno ricchi e assortiti, perché un certo genere di merce non va più. Così come sono in calo i vicini mercati rionali di Portobello o Notting Hill, mentre la fanno da padrone le bancarelle di frutta e verdura di North End Road o Hammersmith, gestite da pakistani o indiani, dove trovi nelle bacinelle di plastica quattro kiwi o banane per un pound.

Una mano a risparmiare sull’abbigliamento, almeno dei bambini e dei ragazzi, la danno le scuole, con le loro severe regole in fatto di divise. Per le mamme, la salvezza sono i negozi convenzionati di uniforms dove giacche, camicie, pantaloni, calzini e scarpe, zainetti, oltre alle tute da ginnastica, buone per il week end, costano niente (anche se sono di qualità mediocre), per garantire a tutti il diritto allo studio e una sorta di uguaglianza, almeno ai blocchi di partenza. I teen ager, ma ormai non solamente loro, fanno la ressa davanti a Top shop e alle altre catene di negozi di tendenza, dove un tipico cappotto stile inglese fumo di Londra, può costare anche soltanto cento pounds.

Ma guardando le uscite delle stazioni della metro, accanto agli ingressi dei negozi di alta moda di Knightbridge, è possibile notare una variazione delle ondate di passeggeri: sempre meno gente nelle ore di punta, quando il biglietto costa più caro, e di più in quelle centrali del giorno, quando agli abbonati sono riservate tariffe ridotte.

In modo più felpato la crisi colpisce anche il solidissimo (fin qui) business dell’istruzione. Per le mamme di bambini in età da scuola dell’obbligo gli esami di quinta elementare sono ormai una tagliola. Non riuscire a passare la selezione per assicurarsi un posto, messo a concorso, alle medie nelle state schools, gratuite o semi, ma che danno accesso alle migliori università, diventa una catastrofe, equivale a uno stravolgimento del budget familiare. E c’è chi comincia a organizzarsi, tenendo a casa i ragazzi e facendoli preparare privatamente (costa sempre meno che pagare la retta di una scuola privata), per poi tentare di farli rientrare l’anno successivo, nella speranza che vengano ammessi.

Analogamente, diminuisce il numero degli studenti nei college più famosi, tipo Oxford e Cambridge. Il fenomeno era già cominciato da qualche anno, ma ora è più evidente, e apre possibilità insperate a studenti stranieri (beninteso, ricchi) che prima non potevano neppure sognare di trovare posto nelle università d’Oltremanica. Le grandi agenzie immobiliari cercano di nascondere la crisi del mercato delle case, non proprio l’esplosione della cosiddetta bolla, ma quasi, girandola tutta sul versante della convenienza.

Volete comperare una casa a Londra? Se non la cercate proprio di fronte a Buckingham Palace, ora è più conveniente. In realtà, quello che le agenzie non dicono, o cercano di mascherare, è la svolta del mercato interno, che vede molti proprietari, abituati a comperare facendo il passo più lungo della gamba e contando sulle rivalutazioni fortissime da un anno all’altro delle stesse case, non più in grado di sopportare le rate crescenti dei mutui, e costretti quindi a rivendere, a prezzi anche inferiori, e a ripiegare su quartieri meno centrali, su metrature inferiori, quando non, direttamente, sulla periferia.

Chissà se anche il ritorno della moda di andare a vivere sulle boat-houses, ancorate sulle rive del Tamigi e una volta riservate ad artisti e musicisti, non dipenda più dal fatto che non pagano la Council tax, una pesantissima Ici locale, che non a un’ondata di stranezza passeggera. Sarà l’autunno incipiente di Londra, al confronto con l’interminabile e afosa estate italiana, ma certo a guardare tutto questo viene da riflettere. Saranno troppo allarmisti gli inglesi, o troppo spensierati (ancorché lamentosi) gli italiani?

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