Una Nube Fantastica

Fantasticare su una nube di gas prodotti da un vulcano islandese... una nuvola che ci riporti a "quote più normali". Buona lettura, Rex

Altre incredibili Foto del Vulcano a questo LINK

Purificati da una nube
(Antonio Scurati per La Stampa)
Fantastichiamo che, per un istante, lasciandoci tutti a terra, liberando i cieli sopra le nostre teste, la nube possa riportarci quel senso perduto della vita come qualcosa che può ricominciare da zero.
Godiamoci l'eruzione
(Fabrizio Rondolino per La Stampa)
Guardiamo invece il mondo così com’è - più grande, molto più grande di noi; e poi chiniamo gli occhi con compassione, ma anche con qualche distacco e non senza ironia, su questo assurdo agitarsi di formiche.
Purificati da una nube
Una nube ci ha imprigionati, una nube ci renderà liberi. Siamo cresciuti sotto cieli malsani, percorsi da nubi venefiche. Alzando gli occhi al cielo, abbiamo imparato più a diffidare che a pregare, più a temere che a sperare. Dall’alto - come dal basso, del resto - non c’era da attendersi nulla di buono.

In principio, a incombere sul nostro futuro, fu la nube atomica, quella fungiforme che si levò sopra Hiroshima il 6 agosto del 1945. Dopo di allora, una lunga serie di nubi si sono addensate all’orizzonte delle nostre vite minacciando olocausti ambientali, estinzioni planetarie, sindromi respiratorie. Procedendo a memoria d’uomo, trovo la prime nube tossica della mia vita nei ricordi d’infanzia. Era l’estate del 1976 e alle porte di Milano, nella cittadina di Seveso, scoppiava il reattore di una fabbrica chimica. Un miasma si stendeva sul territorio circostante come una nebbia autunnale. Ma puzzava. Era diossina. Prima caddero gli insetti stecchiti, poi stramazzarono le rondini, poi i cani impazzirono, poi le mucche levarono muggiti strazianti, infine, toccò ai nocchieri dell’arca. «Ci avevano detto che non esisteva alcun pericolo», dichiareranno gli abitanti della zona evacuati con 15 giorni di ritardo.

Esattamente dieci anni più tardi, il 26 di aprile del 1986, un altro disastro vaporoso, un’altra evacuazione tardiva. Questa volta la nube era composta di materiali radioattivi fuoriusciti dal reattore di una centrale nucleare nella remota località di Cernobil, ai confini tra Bielorussia ed Ucraina. Veniva di lontano ma giunse fino a noi. Avevo diciassette anni allora e, con la spavalderia della gioventù, assieme a un compagno di sbronze, la sfidammo addormentandoci ubriachi a Venezia sotto l’ala di bronzo del leone ai piedi del monumento a Manin proprio nella notte in cui i telegiornali ne annunciavano l’arrivo sulle nostre teste. La baldanza, l’incoscienza, non ci preservò, però, da una gran quantità di altre nubi, tutte più o meno maligne: gas di scarico, cortine fumogene, nubi di smog, nubi d’informazione e di disinformazione, vapori di benzina e vapori di nulla.

Siamo cresciuti così, nelle nostre città del benessere: sottoposti a un cielo gravato da miasmi, foriero di pestilenze vaporose, dove tutto è prodigio o funesto presagio. Proprio come nelle antiche città delle tragedie greche. Per la mia generazione, il privilegio di respirare liberi, a pieni polmoni, non è mai stato un diritto naturale, una gioia senza condizioni. Per noi, figli dell’estremo progresso, anche l’aria, soprattutto l’aria, è condizionata.

Eppure, guardando oggi le immagini di questa massa calda di gas formata da anidridi, idrogeni e vapori acquei, guardando i raggi del sole che, cosparsi di ceneri e aerosol, danno ai tramonti nordici colorazioni più intense, guardando dal satellite la scia marroncina stendersi sull’Europa, come sbavando da un vulcano islandese, guardando, soprattutto, la mappa del traffico aereo che si va cancellando da Nord a Sud, da Ovest a Est, immaginando questa nube boreale muoversi leggera a cinquemila metri d’altezza su cieli deserti, sorge in noi una chimera di quiete.

Certo, siamo consapevoli del grave danno economico, della crisi del traffico aereo, dei gravi rischi d’intossicazione, eppure si fa strada, irresistibile, una fantasia di azzeramento e rinascita. Fantastichiamo che, per un istante, lasciandoci tutti a terra, liberando i cieli sopra le nostre teste, la nube possa riportarci quel senso perduto della vita come qualcosa che può ricominciare da zero.

E’ la cosa di cui avremmo, forse, più bisogno. Una nube che faccia piazza pulita, dopo tante, troppe nubi che hanno ammorbato le nostre esistenze di asmatici immaginari.


Godiamoci l'eruzione
L’attacco di panico che attraversa l’Europa per la nuvola nera che s’aggira nei suoi cieli a me suscita una grande ilarità. La nuvola è forse radioattiva? È carica di pesticidi, di armi biochimiche, di virus letali? No. La nuvola non fa volare gli aerei. Apriti cielo! La cancelliera Merkel, bloccata a Lisbona di ritorno dagli Stati Uniti, si trova nella medesima condizione di mia figlia, bloccata a Parigi in gita scolastica. La brusca interruzione di tecnologia è dunque un fattore di democratizzazione.

Secondo le stime dell’Association of European Airlines, le perdite per le compagnie aeree ammonterebbero a oltre cento milioni di euro al giorno. Persino il Pentagono ha dovuto chiudere Ramstein, dove c’è il grande ospedale che raccoglie i feriti di Iraq e Afghanistan, e organizzare un ponte aereo via Spagna con gli Stati Uniti, che costerà un sacco di dollari in più.

Poi ci sono le previsioni, le opinioni degli esperti, le valutazioni di meteorologi e vulcanologi e climatologi, e insomma la gran parata abituale degli ubristès - gli arroganti che pretendono di conoscere la natura delle cose. L’ultima volta che il vulcano ha eruttato, si legge, lo ha fatto per un anno e mezzo! E lì vicino ce n’è un altro, che potrebbe riattivarsi pure lui. E poi una vecchia leggenda islandese dice che quando si sveglia un vulcano, si svegliano tutti gli altri...

Viviamo infatti di leggende, ora che non siamo più capaci di essere cristiani, né maturi abbastanza per usare la ragione: e ogni leggenda, prima che il bene trionfi, non può non avere un sapore e un andamento apocalittici che disturbano, eccitano, rilasciano endorfine abbastanza potenti da sviarci dalla nostra povera vita quotidiana. Se il governo distribuisse gratuitamente l’Lsd, non avremmo bisogno delle apocalissi maya, del global warming, della Sars, della suina, di Al Qaeda e di tutte le altre droghe sintetiche che ci tengono stancamente svegli.

Guardiamo invece il mondo così com’è - più grande, molto più grande di noi; e poi chiniamo gli occhi con compassione, ma anche con qualche distacco e non senza ironia, su questo assurdo agitarsi di formiche; e godiamoci lo spettacolo del meraviglioso vulcano islandese, splendido e potente e impalpabile come sa esserlo soltanto ciò che non ci appartiene.

E tanto peggio per gli aerei (cinquant’anni fa non li prendeva nessuno). 

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