Per fare tutto ci vuole CAOS

Pro e contro, il Caos è sempre motivo di discussione. C'è chi lo vede come la peste e chi ci vive in armonia! A voi l'ardua sentenza, io sono per un caos sistematico (titolo di un disco dei Dream Theater): senza un minimo di confusione che vita sarebbe? E poi nel mio disordine io trovo sempre tutto! Per voi due approfondimenti da La Stampa! Bye, Rex

Nessuno tocchi il mio caos
L’homo disordinatus è l’anello di congiunzione tra l’essere e il nulla

"Vengo e metto a posto io"
La vita dei disordinati è complicata assai, oscilla tra ottimi propositi e pessime intraprese, avanza fra rinvii, ritardi e in mezzo scorre il tempo... perso a cercare quel che non si trova più.


Nessuno tocchi il mio caos (BRUNO VENTAVOLI per La Stampa )


Ora c’è un incubo nella mente del disordinato. «E se qualcuno, per farmi grata sorpresa, mi mandasse quelle orde di riordinatori?». Il disordinato li guarderebbe stordito come i monaci medievali spiavano le orde magiare, imbestialite dalla brama di depredare il monastero. Perché il disordine, per una fetta d’umanità, è ossigeno per respirare, pensare, sentirsi a cuccia. Per stare bene - accidenti -, benissimo. Hanno un bel sorridere gli ordinati, che nel caos tutto si perde e nulla si trova. I disordinati rispondono chissenefrega, il mio mondo è bello, solo se ci sono angoli da disordinare.

L’homo disordinatus è l’anello di congiunzione tra l’essere e il nulla. Lo accusano d’essere bamboccione, in realtà è solo innamorato del proprio disordine. Vive nel senso di colpa da prevaricazione («il tuo disordine è mancanza di rispetto al prossimo» gli rinfacciano), ma poi soccombe, perché l’ordinato, caparbio, la vince sempre. Il disordinato è costante, non trova mai chiavi, accendino, orecchino. Non una, dieci, mille, ma centomila volte, perché ha bisogno di quella recidività. L’affannosa ricerca, in affanno di tempo, è un supplizio, ma la soddisfazione di rintracciare l’oggetto scomparso nel disordine, per botta di fortuna, è immensa, estatica, quasi metafisica. Il disordinato non può permettersi di essere nevrotico (altrimenti metterebbe subito in ordine tutto), e nemmeno serial killer (verrebbe scovato). Il disordinato è solo fragile, costretto a guardare con sospetto persino la colf troppo solerte.


Chi sa che fare nella vita, di solito, ostende scrivanie sgombre come deserto. La scrivania del disordinato è invece il campo eroico delle Termopili, un ghiacciaio di Friedrich, un orologio liquido di Dalì. Libri, bollette, carte di caramellle, pietruzze, mozziconi di sigarette. Il disordinato è come un tollerante pascià, accumula, lascia che le sue reliquie si sistemino da sole, assumano gerarchie casuali e capricciose. Fatica a buttar via le cose, e non per volontà di possesso: quel che conserva nel disordine è come se non lo avesse. Lo fa piuttosto per non staccarsi dalle gocce dei ricordi che inattese (perché in disordine) spalancano abissi nel tempo perduto. Proust, sicuramente, era disordinato.


Il disordinato è un po’ più vicino alla malinconia (il caos dell’animo) di quanto lo sia l’ordinato. E talvolta sa che le splendide manie di mettere ordine si sbriciolano nel disordine. Basta aspettare, ordinatamente.


"Vengo e metto a posto io" (SARA RICOTTA VOZA per La Stampa)

Lost in confusion. Persi nel disordine, proprio e altrui, reale e virtuale, della scrivania e del desktop, delle buste che s’impilano e delle mail che ingolfano il pc. Accumulatori primari. Non di capitale ma di cianfrusaglie, ammassate in anni di raccolte punti, acquisti incauti, regali inutili di natali e compleanni. La vita dei disordinati è complicata assai, oscilla tra ottimi propositi e pessime intraprese, avanza fra rinvii, ritardi e in mezzo scorre il tempo... perso a cercare quel che non si trova più.

Il mondo anglosassone, più pragmatico, ha già chiamato la cosa col suo nome - problema, se non patologia - e ha messo a punto un po’ di soluzioni (de-clutter, spaceclearing); quello italiano, più poetico, preferisce pensare che sia creatività.

In ufficio

Non tutti però la vedono così e succede che anche qui, in Italia, sfogliando un opuscolo di annunci si trovi un’inserzione come questa: «Attività di Remise en ordre: siete disordinati in ufficio nella gestione della scrivania, degli armadi o del desk del pc? Siete disordinati in casa, dovete fare il cambio armadio stagionale? Contattare Sveva Poggi» Segue numero.

Noi l’abbiamo contattata, scoprendo che è una mamma quarantenne che si è inventata una seconda attività. «Dopo anni di lavoro in aziende di grandi dimensioni ho concluso che l’ordine non è una qualità diffusa...». Racconta dell’incubo dei lunedì mattina: «Quelle scrivanie con bicchierini di caffè del 1920, medicinali per ogni tipo di indisposizione, regalini per la festa della mamma del 1980. E, assieme, cumuli di carte, documenti, presentazioni urgenti». Una situazione di non smagliante immagine, ma soprattutto di difficile gestione. «Le persone disordinate creano problemi soprattutto quando sono assenti e van sostituite: impossibile trovare le loro cose e passare le consegne».

Così lei si è inventata un metodo per aiutarle: «Io propongo prima un colloquio personale. Il secondo step è l’incontro sul luogo di lavoro, magari dopo l’orario e previa autorizzazione; qui faccio il sopralluogo con un’amica che mi aiuta e fotografiamo per avere immagini del “prima” e “dopo”; al terzo incontro si passa all’azione, io mi occupo del pc, la mia amica dell’ordine materiale, anche con l’aiuto di vaschette e raccoglitori nei colori scelti dal cliente. Il colloquio costa 50-100 euro, il resto è a tariffa oraria. La mail: svevapoggi@gmail.com. Lo slogan: «Buon ordine a tutti».

A scuola di ordine Lucia Larese invece è la «guru» italiana di spaceclearing, con all’attivo un manuale (Spaceclearing, ed. Mediterrranee), un sito (spaceclaering.it) e un’agenda fitta di consulenze online e corsi in giro per l’Italia. Il prossimo è a Roma il 24 aprile ma è già pieno, conviene prenotarsi per i successivi o contattarla al Circolo dei lettori di Torino dove presenterà il libro. «Andavo spesso a Londra per lavoro e lì ho seguito il primo corso di spaceclaering», racconta. «Mi ha trasformato ma sulla mia pelle ho capito che il metodo anglosassone è troppo rigido per noi». Lì la regola è: one in, one out, che significa che per ogni cosa nuova che entra in casa bisogna farne uscire un’altra.

«Se in ogni stanza l’ordine è essenziale, in cucina è vitale». Parola di Csaba Della Zorza, food writer con trasmissione di cucina su Alice tv. Disordinata nel resto della casa, in cucina è maniacale. Il frigo? « Yogurth in fila divisi per gusto, le verdure per tipo e per colore». Le posate? «In fila come soldatini, forchetta media grande piccola, coltello medio grande piccolo etc». Dice però di non avere ancora la sindrome di Martha Stewart. Che sarebbe? «Travasare tutto quello che si compra in barattoli con etichetta e scriverci data di scadenza». Anche un’ordinata torinese, forse, direbbe “Esageruma nen”.

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