Vacanze di Classe

Giuro che mai avevo sentito delle cose del genere, gite di classe divise per fasce di reddito o asili che negano il pranzo ai bimbi colpevoli di avere genitori in ritardo con la retta. Ma dove siamo andati a finire, questo è il nuovo mondo che ci attende? Egoismo e indifferenza dilagano. Fermiamoci e facciamo un passo indietro, certi valori devono essere recuperati. Per dare un filo di speranza, posto un secondo corsivo sempre di Gramellini, pensiamo sempre positivo! Bye, Rex

Gita di classe
(Massimo Gramellini per La Stampa)

Un istituto di Pordenone ha organizzato le vacanze-studio degli allievi sulla base del loro reddito: la fascia alta a Londra in un buon albergo, la fascia bassa a Monaco in una pensione abitata dai pidocchi. Faremo causa all’agenzia di viaggi, ha detto il preside, come se il problema fossero i pidocchi. Il problema è aver avuto l’idea di separare i ricchi dai poveri, riproducendo persino in una gita scolastica, emblema della comunità conviviale, quelle differenze sociali che all’interno della scuola semplicemente non devono esistere.

Ma cosa ci sta succedendo? In poco più di una generazione siamo passati dall’egualitarismo diseducativo del «sei politico» al calpestamento di ogni sensibilità e del significato stesso di scuola pubblica. Leggevo con gli occhi sbarrati le spiegazioni del sindaco e dell’assessore, entrambe donne ed entrambe giovani, di quel Comune vicentino che l’altro ieri non ha servito il pranzo a nove bimbi dell’asilo nido perché i genitori non pagano la retta. Mica possiamo darla vinta ai furbi, spiegavano le due amministratrici. Giustissimo, e allora denunciateli. Ma senza smettere di garantire ai figli dei furbi l’identico trattamento riservato ai loro compagni. Sono bambini, non divani pignorabili. Mi spaventa il pensiero di come cresceranno i discriminati di Vicenza e di Pordenone. Ma mi spaventa ancora di più come cresceranno i privilegiati: privi dei vincoli minimi di solidarietà umana, per insegnare i quali la scuola pubblica era nata.

Appesi a un Palloncino (Massimo Gramellini per La Stampa)

Sento l’esigenza di una boccata d’aria pura. Perciò, a chi se la fosse persa, vorrei raccontare la piccola storia di assoluta meraviglia che è apparsa nei giorni scorsi su «Specchio dei tempi». Comincia col funerale di Claudio, custode di una scuola materna di Torino, amatissimo da bambini e genitori per la sua disponibilità. Un italiano di quelli che piacciono a noi, che con un gesto o una parola di buon senso riescono a stemperare i problemi e a colmare i vuoti della struttura in cui lavorano. I bambini riempiono fogli di messaggi e disegni per Claudio. Poi, con la serietà di cui solo loro sono capaci, decidono di recapitarglieli. Come? Ma che domanda stupida, scusate. Attaccandoli a un palloncino in grado di volare fino a lui.

Detto fatto: il palloncino carico di corrispondenza viene liberato nel cielo di Torino. Per un paio di settimane non se ne sa più nulla. Quand’ecco che alla scuola materna arriva una lettera. «Sono una nonna di 70 anni e abito a Parma. Anch’io ho dei nipotini che vanno all’asilo. Volevo dirvi che il palloncino del vostro amico Claudio è arrivato. Caduto su un prato verde appena scoperto dalla neve. Io ho ricordato il vostro amico nelle mie preghiere, ma sono certa che da lassù sarà lui a proteggere voi, che siete stati capaci di un gesto così gentile».

La prima volta che l’ho letta mi sono venuti i lacrimoni. E anche adesso, insomma. Sarà l’età che avanza. O forse la consapevolezza che fin quando ci saranno persone come Claudio, come la nonna di Parma e come quei bambini, non proprio tutto è perduto.

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