FAME e FAO: come volevasi dimostrare!

Nutrivamo forti dubbi sull'utilità effettiva di vertici come quello appena concluso. Nessuna volontà politica, nessun risultato tangibile e intanto nell'A.D. 2008... lontano lontano... si continua a morire di fame. Capi di Stato, Svegliatevi! Rex

Quei vertici inutili e le vere crisi globali - di Alessandro Merli - Sole24Ore

Non è bastato neppure il record storico segnato ieri dal prezzo del granoturco alla Borsa di Chicago per ricordare ai delegati di 183 Paesi, fra cui molti capi di Stato, perché questa settimana si sono ritrovati a Roma per il vertice della Fao. E cioè che l'esplosione dei prezzi agricoli rischia di aggiungere agli oltre 850 milioni che già oggi fanno la fame altri 100 milioni di persone. Alla fine non si è trovata che un'intesa al ribasso, che non risponde certo all'urgenza di cui la parte più povera dell'umanità ha bisogno.

Il pianeta è alle prese con l'emergenza cibo, il Programma alimentare mondiale ha rivelato ieri di non saper più dove trovare il riso per gli aiuti, i prezzi delle materie prime agricole, segnala l'Ocse da Parigi, forse si stabilizzeranno, ma difficilmente scenderanno in modo significativo. Questo nel breve periodo. Nel lungo, l'aumento della domanda alimentare farà sì che per i più poveri si avveri la predizione che «siamo tutti morti», espressione usata da Lord Keynes a tutt'altro proposito, ma che in questo caso può trovare un'applicazione tragica.
A fronte di questa situazione, che richiede rimedi concreti e immediati, sono arrivate sì le promesse di aiuti dalle fonti più diverse, le ultime dalla Francia e dalla Spagna, dalla Banca islamica di Sviluppo e dalla Banca africana. Ma si è avvertito soprattutto, fortemente, il senso di inutilità di un vertice che sembra essere servito a ciascuno per scopi diversi, nessuno dei quali aveva a che vedere con quelli del vertice Fao: ai dittatori Ahmadinejad e Mugabe, impresentabili altrove, per riconquistare una vetrina internazionale, persino ai sostenitori di Cuba per cercare di far passare una condanna dell'embargo americano.

Le cause della crisi attuale sono molteplici, dal boom del prezzo del petrolio e quindi dei fertilizzanti e dei trasporti, all'aumento della domanda per consumi nei Paesi emergenti, ai cambiamenti climatici che hanno causato la siccità in alcuni grandi produttori, ai divieti di esportazione di altri per salvaguardare il mercato interno, e, in misura minore, ai biocombustibili e a fenomeni speculativi. A tutto questo, il vertice della Fao non ha saputo, in qualche caso non avrebbe neppure potuto, dare una risposta.
Ma la solita ricerca di un compromesso al ribasso ha sottolineato una volta di più l'impotenza di questo tipo di riunione dove è impossibile ricomporre gli interessi di 183 Paesi. La stessa impasse di cui soffre da anni il Doha Round, il negoziato commerciale della Wto, che paradossalmente, dopo esser rimasto bloccato per anni proprio sulle questioni agricole, ora che su queste sembrava profilarsi, se non un'intesa, almeno una non belligeranza, si è inceppato ora sulla liberalizzazione dei prodotti industriali.

Nell'uno e nell'altro caso, comunque, alla Fao e alla Wto, è emerso in tutta evidenza che si tratta di un modello di governance ormai paralizzato. Dove la soluzione dei problemi globali non trova una soluzione globale, ma sempre più spesso è solo una somma algebrica di interessi il cui risultato alla fine non è mai superiore allo zero. Dove nessuno, come ha sollecitato il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick, sa esercitare la leadership di guardare agli interessi comuni.
Da Roma, la crisi alimentare rimbalza ora sul tavolo del G-8, più o meno allargato, che si riunisce a luglio in Giappone. Prima di farsi troppe illusioni che sarà quella la sede dove il problema verrà affrontato con l'urgenza di cui ha bisogno, è utile ancora una volta il confronto con il Doha Round. Sul quale da anni gli otto grandi proclamano con enfasi nei loro comunicati che un accordo va trovato, e subito. E sul quale da anni non succede nulla.

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