Cina: la libertà negata

Libertà di stampa e di parola, per la Cina e i Cinesi tutto questo è solo una chimera. Tienanmen, Tibet, Terremoto: tutte facce della stessa medaglia. E il mondo civilizzato resta a guardare, business must go on! Bye, Rex

Piazza Tienanmen, inganno sul web

• da Il Sole 24 Ore del 10 giugno 2008, pag. 13 di L.Vin.

Nei giorni scorsi in Cina è accaduto qualcosa di sensazionale: per la prima volta dalla rivolta studentesca di Piazza Tienanmen, la televisione di Stato ha riferito della veglia che ogni anno si svolge a Hong Kong per commemorare le vittime della feroce repressione della protesta studentesca messa in atto da Pechino il 4 giugno 1989.

Peccato, però, che l’abbia fatto in modo del tutto fuorviante. Niente immagini video. La Cctv si è limitata a pubblicare sul proprio sito web sei fotografie della cerimonia del Victoria Park, accompagnate da un breve articolo dal titolo: «Quarantamila cittadini di Hong Kong partecipano alla veglia per ricordare i loro compatrioti morti nel terremoto».

Il testo del servizio, che riferisce di «migliaia di candele ondeggianti che formano un oceano luminoso», è un delirio di disinformazione. «La cerimonia pubblica è durata circa due ore ed è stata accompagnata da canti, momenti di silenzio e omaggi floreali in memoria dei martiri», racconta il sito della Cctv.

Ma, secondo la televisione cinese, i martiri non sono le centinaia di studenti morti ammazzati diciannove anni fa in Piazza Tienanmen (il numero dei caduti sotto i colpi dei carri armati di Pechino resta a tutt’oggi un mistero), bensì le 7omila vittime del cataclisma che il 12 maggio scorso ha devastato il Sichuan.

Ad accorgersi della colossale menzogna a mezzo stampa è stato il South China Morning Post, l’autorevole e indipendente quotidiano di Hong Kong, che ieri ha dedicato un servizio alla «sorprendente copertura» (così l’ha definita l’autore dell’articolo) dell’annuale veglia del Victoria Park. Una veglia che rappresenta l’unica commemorazione pubblica della tragedia di Piazza Tienanmen in suolo cinese.

Nonostante il ritorno sotto l’egida della madrepatria, avvenuto nel luglio 1997, in forza degli accordi stipulati tra Londra e Pechino prima della consegna della città, oggi a Hong Kong vige ancora piena libertà di espressione. Lo dimostra il fatto che ogni anno il massacro degli studenti del giugno 1989 viene pubblicamente commemorato. E lo conferma la circostanza che sia stato proprio un giornale dell’ex colonia britannica a svelare la sconcertante manipolazione messa in atto dalla televisione di Stato cinese.

Intanto, sempre per restare sul fronte della libertà d’informazione; il buonismo di Pechino nei confronti della stampa straniera, seguito al terremoto del Sichuan, è già finito. Nei giorni scorsi, infatti, la libertà di movimento inizialmente concessa ai numerosi cronisti stranieri accorsi nelle zone terremotate è stata drasticamente limitata.

D'altronde, passata la cronaca della tragedia, ora per la stampa è giunta l’ora degli interrogativi. Perché sono crollate così tante scuole? Chi aveva ricevuto gli appalti per costruire gli edifici che si sono sgretolati? Chi sono i responsabili del disastro? I giornali locali, loro malgrado, non potranno mai realizzare queste inchieste scomode. Ma non devono realizzarle neppure quelli stranieri, è l’ordine che è arrivato dall’alto. Ecco perché alcune delle zone più sensibili sono state chiuse all’ingresso dei giornalisti esteri, che non riescono più neppure ad avere contatti con i parenti dei bambini morti nei crolli delle scuole.

La promessa di Pechino, che si era impegnata a garantire libertà di movimento e di azione ai media internazionali nell’anno delle Olimpiadi (finiti i Giochi tutto dovrebbe tornare come prima), si sta rivelando una promessa da marinaio. I cronisti esteri cominciano a essere soggetti indesiderati nel Sichuan. Il Tibet resta sempre inaccessibile ai corrispondenti stranieri. Le istituzioni pubbliche, governative e di partito continuano a negare ogni collaborazione ai giornalisti d’oltremare. Per le Olimpiadi arriveranno in Cina oltre 20mila cronisti stranieri.


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