EuroSconfitte Tricolori

La Squadra Italia subisce sconfitte anche a Bruxelles. Le nostre lacerazioni interne e la voglia di rimanere nei confini nazionali per non uscire dal giro ci escludono di fatto da tutti i posti che contano. Take a Look, Rex
A Bruxelles contiamo sempre meno (Marco Zatterin per La Stampa)
Quando è cominciata a circolare la voce che nella spartizione delle sedi diplomatiche dell’Unione europea in giro per il mondo i tedeschi avrebbero avuto la Cina, gli spagnoli sarebbe andati in Argentina e agli italiani sarebbe toccata l’Albania, i commenti nei corridoi bruxellesi si colorati di sarcasmo. C’è chi ha tirato fuori la guerra lampo del 1940, le sparate di Mussolini che la definiva «Boemia dei Balcani» e invocava «Tirana ad ogni costo». Poi, quando è venuta fuori la lista delle scelte fatte dalla baronessa Ashton, l’ironia è finita. Insieme con l’ex «colonia imperiale» ci veniva assegnata la responsabilità della sede di Kampala, Uganda. A qual punto c’era veramente poco da ridere.

La paginetta con i nomi dei diplomatici e degli alti funzionari scelti per rappresentare l’Unione dalla Signora della politica estera europea è un nuovo colpo alle ambizioni dell’Italia e al suo ruolo sullo scacchiere continentale. Berlino ottiene quello che voleva, si schiera sulla porta dell’Oriente che conta. La Spagna incassa cinque poltrone, la più pesante è a Buenos Aires e poi ci sono il vice di Pechino, l’Angola, la Guinea-Bissau e la Namibia. Gli olandesi vanno in Sudafrica, prendendo anche il Libano. Restano da assegnare tre piazze calde, Brasile, Iraq e il numero due a Washington, dove il capo è l’ex braccio destro del presidente della Commissione Barroso, nominato dal portoghese in gran fretta prima che si insediasse la Ashton.

«Sono gli uomini migliori al posto giusto», ha assicurato la laburista priva di una esperienza diretta rivendicabile e incapace di esprimersi in francese senza sembrare la settima dei Monty Python. Per l’Italia non è un onore.  Ettore Sequi, che a Tirana c’è già stato è un diplomatico stimato, già rappresentate Ue a Baghdad, dove risulta aver fatto bene.  Roberto Ridolfi, che andrà a Kampala, lavora alla Commissione, già capo delegazione alle Fiji, ora all’ufficio cooperazione nell’esecutivo di Bruxelles.  Ambedue potevano arrivare più in alto.  E’ mancata loro la spinta della macchina negoziale tricolore.  Siamo alla prima tornata di nomine. La seconda prevede anche le quattro poltrone apicali del Servizio estero - dal segretariato al bilancio -, che le indiscrezioni vogliono intascate in ordine di importanza da Francia, Germania Irlanda e Polonia. Niente Italia, per ora, anche se ci ha provato. Così diventa lunga la lista delle eurosconfitte, le ultime sono il pidiellino Mauro Mauro mandato al massacro per conquistare un parlamento già spartito, e l’ex premier D’Alema caduto sotto ogni sorta di fuoco (anche amico) mentre tentava di strappare la poltrona alla Ashton. Lunga come la tradizione bipartisan che ci ha visto snobbare le cose di Bruxelles.

Si ricorda il Malfatti che lasciò la presidenza della Commissione per tornare in parlamento negli Anni settanta, tentazione - quella dell’addio prematuro alla Commissione - a cui non ha resistito neanche il ministro degli esteri Frattini. Siamo passati dalla presidenza Prodi alla cacciata di Rocco Buttiglione per presunta omofobia tiene alta la bandiera, solitario, il vicepresidente dell’esecutivo Ue Antonio Tajani. Per il resto è sempre stato il sistema che ha scelto male e non ce l’ha fatta ad imporsi. Si racconta che alla Farnesina in molti non abbiano puntato sui posti al Servizio esterno perché non si fidano del progetto e «perché c’è il timore di rimanere fuori dal giro».

Gli euroscettici inglesi formano i loro uomini europei promettendo di «poter influenzare 500 milioni di cittadini». Da noi, invece, si fanno battaglie di facciata sulle poltrone e sulla lingua, senza vera convinzione e senza difendere una cultura che vanta pochi pari. Non si fa squadra, non si costruisce. E allora anche piazzarsi bene nel team della Ashton, nonostante i curriculum e i blasoni, può diventare una missione impossibile.

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