Affari Democratici

Quando Economia non fa rima con Democrazia, i diritti umani non sono commerciabili e a 20 anni da Tienanmen di progressi se ne sono visti troppo pochi. Bye, Rex
Cina più ricca, ma non più libera (FANG LI-ZHI * per La Stampa)
Ho applaudito di cuore il Comitato del Nobel quando ha assegnato il premio per la Pace al detenuto Liu Xiaobo per la sua lunga battaglia nonviolenta a favore dei diritti umani fondamentali in Cina. Con questo atto il Comitato ha sfidato l’Occidente a riesaminare un’idea pericolosa, che si è sempre più radicata negli anni successivi al massacro della Tienanmen.
In Cina lo sviluppo economico porterà inevitabilmente alla democrazia. Negli ultimi Anni 90 e soprattutto con il nuovo secolo, questa tesi ha guadagnato spazi. Qualcuno ci ha creduto davvero; altri forse l’hanno trovata utile ai loro interessi commerciali. Molti hanno avuto fiducia nei politici cinesi, che cercavano di convincere il mondo esterno che se avesse continuato a investire senza imbarazzanti «collegamenti» con i principi dei diritti umani, tutto sarebbe andato per il meglio, secondo il passo della Cina. Più di vent’anni sono trascorsi dai fatti della Tienanmen e la Cina è diventata ufficialmente la seconda potenza economica mondiale. Eppure Liu Xiaobo - che non è certo un radicale - e con lui migliaia di persone marciscono nelle carceri per aver semplicemente chiesto l’applicazione di quei diritti di base custoditi come una reliquia dalle Nazioni Unite e dati per scontati da tutti gli investitori occidentali nei loro Paesi. È evidente che i diritti umani non sono «inevitabilmente» migliorati nonostante l’economia alle stelle.

Quanto è successo a Liu negli ultimi vent’anni dovrebbe bastare per demolire finalmente l’idea che la democrazia emergerà automaticamente come risultato di una crescente prosperità. Io ho conosciuto Liu negli Anni 80, quand’era un giovane impegnato. Nel 1989 prese parte alle proteste pacifiche nella Piazza Tienanmen e per questo fu condannato a due anni. Da allora e fino al 1999 è entrato e uscito dai campi di lavoro forzato, dalle prigioni, dai centri di detenzione, dagli arresti domiciliari. Nel 2008 fu tra i promotori della Carta 08, il manifesto che chiedeva alla Cina di attenersi alla Dichiarazione universale dell’Onu sui diritti umani. Fu nuovamente arrestato e questa volta condannato a undici anni di carcere duro per «istigazione alla sovversione dei poteri dello Stato» - nonostante la Cina sia tra i firmatari di quella Dichiarazione.

Secondo le organizzazioni per i diritti umani che seguono la situazione in Cina, nelle carceri o nei campi di lavori forzati ci sono circa 1400 prigionieri politici, religiosi o «di coscienza». I loro «crimini» includono l’appartenenza a gruppi clandestini politici o religiosi o la partecipazione a scioperi e dimostrazioni, o opinioni di dissenso politico pubblicamente espresse. L’innegabile realtà dovrebbe svegliare chiunque ingenuamente creda che gli autocrati che governano la Cina modificheranno il loro disprezzo per i diritti umani solo perché il Paese è più ricco: non hanno fatto un solo passo indietro nella loro politica repressiva. Anzi, sono diventati ancora più sprezzanti. È vero che sotto la pressione internazionale, nei dieci anni successivi alla Tienanmen, il governo comunista, per migliorare la sua immagine, ha liberato cento prigionieri politici. Dal 2000 però, a mano a mano che l’economia cresceva e la pressione internazionale calava, sono tornati alla repressione più dura.

La comunità internazionale dovrebbe essere preoccupata soprattutto per le violazioni degli accordi internazionali che la Cina ha firmato, come la Convenzione Onu contro la Tortura del 1988. Eppure torture, maltrattamenti e manipolazioni mentali sono ampiamente usate nelle carceri cinesi. Con il crescere della prosperità, il partito comunista si sente sempre più sicuro della sua immunità anche se viola la sua stessa Costituzione. L’articolo 35, ad esempio, dice che «i cittadini della Repubblica popolare cinese godono della libertà di parola, assemblea, associazione, dimostrazione». Eppure, si può dubitare del giro di vite del governo su questi diritti, a cominciare dai filtri per oscurare i siti Internet imbarazzanti? Il Comitato del Nobel ha assolutamente ragione nel collegare il rispetto dei diritti umani con la pace mondiale. Come aveva perfettamente capito Alfred Nobel, i diritti umani sono il pre-requisito per la «fraternità tra le nazioni». 


*Fisico dissidente, considerato il «Sakarov della Cina», è stato il mentore degli studenti della Piazza Tienanmen nel 1989. Espulso dalla Cina, vive in esilio negli Stati Uniti, dove insegna all’Università dell’Arkansas.

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