Rum War

Curiosità Caraibiche: Cuba Libre... ma con incentivi fiscali, por favor! Ovvero... quando il Rum fa muovere milioni di dollari e intere economie nazionali. Take a Look and enjoy your drink, Rex
La guerra del rum ai Caraibi Portorico e le Isole Vergini si contendono a suon di dollari il diritto a ospitare distillerie Usa
(Glauco Maggi per La Stampa)
Sta ai Caraibi come il petrolio all’Arabia Saudita e all’Iran, ma il rum non ha spinto le isole degli arcipelaghi dell’Oceano al largo della Florida a creare un cartello tipo l’Opec, per condizionare produzione e prezzi del greggio. I governi locali, le cui economie confidano da secoli in misura rilevante sulla lavorazione della canna da zucchero per farne alcol e sulle tasse ricavate dal «cicchetto dei pirati», non sono tutti devoti al puro libero mercato, distillato dalla concorrenza privata tra produttori. 

Da tempo, hanno arricchito il rum di un additivo irresistibile per le corporation internazionali che controllano questo business: gli incentivi fiscali. La voce delle tasse è sempre un ovvio elemento nella valutazione di un’azienda su dove insediare uno stabilimento, ma nella disputa che sta dividendo aspramente due Territori offshore che sono entrambi parte degli Stati Uniti, Portorico e le Isole Vergini, il colpo basso inferto da queste ultime al concorrente sta avendo una eco nazionale. I due rispettivi delegati al Congresso di Washinghton, dove non hanno diritto di votare ma fanno lobby per la difesa dei propri interessi, si sono guadagnati la citazione sul New York Times in difesa delle loro ragioni, che combinate potrebbero costare caro anche ai contribuenti della terra ferma. 

Un minimo di storia: poiché i produttori di rum nelle isole caraibiche erano esenti dalle accise federali, il governo Usa nel 1917 impose una tassa «equalizzante» al Portorico, e fece poi lo stesso con le Isole Vergini nel 1954. Da mezzo secolo, i ricavi di questa tassa hanno permesso alle isole di finanziare le proprie spese pubbliche con una parte minima destinata agli incentivi per tenersi stretti i produttori esteri. Portorico, l’anno scorso, ha per esempio «investito» il 10% dei 450 milioni che ha ricevuto in tasse in aiuti di marketing e sussidi alle distillerie. 

Ma la battaglia vera è incominciata quando il governatore delle Isole Vergini ha offerto al maggior distillatore mondiale, Diageo, di impiantare a St Croix la nuova distilleria per il rum speziato Captain Morgan, con un argomento inebriante: ben 2,7 miliardi di dollari di sconto d’imposte. Più del costo di produrre il rum. Il nuovo stabilimento, che non impiegherà più d’una settantina di dipendenti, consentirà però alle Vergini di incamerare miliardi grazie al 50% delle tasse sul rum dovute dalla Diageo. A pagarne le spese più pesantemente sarà Portorico, sede da decenni di una distilleria della stessa azienda, oltre che della Bacardi. 

Era dal 2007 che il colosso degli «spirits» Diageo, basato a Londra, cercava un’alternativa a Portorico in Paesi con il minor costo del lavoro. Prima ci furono contatti con l’Honduras e il Guatemala, poi l’approccio decisivo con John P. de Jong, governatore delle Isole Vergini, che ha presentato un pacchetto imbattibile: in cambio di un accordo di 30 anni, la costruzione della distilleria a spese dei contribuenti, l’esenzione totale delle tasse sulla proprietà e del 90% della tassa sui profitti aziendali, e sostegni al marketing e alla produzione: in soldi, decine di milioni di dollari all’anno. Anche pagando simili incentivi, le Vergini si assicureranno una fonte stabile di entrate per 30 anni: gli introiti fiscali alla voce rum salirebbero dai 90 milioni del 2008 a oltre 230 milioni nel 2038. «Rafforzeremo il fondo pensioni del governo, costruiremo scuole, aggiusteremo e amplieremo la rete stradale», ha detto al New York Times de Jongh. 

A Portorico la sbornia di introiti dell’isola concorrente a 75 chilometri di distanza sta provocando una reazione di rigetto. Quando Diageo lascerà definitivamente l’isola nel 2012, verranno meno circa 120 milioni di dollari di tasse annue e si perderanno 340 posti di lavoro. Pedro Pierluisi, il delegato portoricano a Washington, non ha escluso che lo stato già piuttosto precario delle finanze locali potrebbe obbligare l’isola a chiedere sovvenzioni al governo federale per spese di gestione ordinaria prima coperte dal rum. «In un modo o nell’altro dovremo trovare un rimedio, non sarà un bello spettacolo», ha minacciato Pierluisi, che ha anche tentato di convincere il Congresso a far passare una legge per vietare ai governi locali di offrire alle corporation dell’alcol, in incentivi, più del 10% del fatturato fiscale che ricavano dalla tassa sul rum. La misura langue nei cassetti, anche per il lobbysmo di Donna M. Christensen, la delegata delle Isole Vergini. E c’è anche chi accusa Portorico di voler mettere i bastioni fra le ruote dell’accordo tra Diageo e le Vergini per favorire la maggiore distilleria dell’isola sconfitta, la Bacardi, legata al governo locale.

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