Google batte l'Istat

Chissà se con questo nuovo indice online e in tempo reale riusciremo a sapere il VERO tasso di inflazione di questo paese e non quello "drogato" da un paniere ISTAT assestato ad arte per fornire dati ufficiali di comodo. Attendiamo fiduciosi l'esito della sperimentazione, Google si è dimostrata innovativa e affidabile nel tempo. Bye, Rex
Google calcola l'inflazione online
Un indice istantaneo dei prezzi Paese per Paese
Arriva da Google un nuovo indice d’inflazione, il «Google Price Index», che misura i prezzi dei beni comprati e venduti online. Questo indicatore promette di misurare i costi dentro una «nicchiona» di mercato come quella delle contrattazioni virtuali, che diventa sempre grossa e importante per l’economia
Luigi Grassia per La Stampa


Il nuovo Google Price Index è capace di offrire un’informazione sui prezzi non differita ma in tempo reale, mentre l’Istat (come tutti gli Istituti nazionali di statistica) ci fa conoscere il tasso d’inflazione un mese dopo (ovviamente operando su una base più ampia e in modo più accurato). In realtà il meccanismo del Gpi non è ancora pienamente a regime, ma quando lo sarà, le aziende e gli operatori interessati all’immediatezza potranno riferirsi a questo nuovo indice proiettandolo sull’economia in generale e così farsi un’idea di come vanno le cose senza attendere le liturgie dell’ufficialità. Il capo economista di Google, Hal Varian, ha detto al Financial Times che l’attività che si prefigge è fare «previsioni sul presente», cioè raccontare subito quello che gli Istituti nazionali diranno solo un mese più tardi.

Il Google Price Index viene calcolato dallo scorso gennaio negli Stati Uniti e pian piano l’esperimento viene esteso ad altri Paesi; la società che controlla il motore di ricerca non ha ancora deciso se renderne pubblico il valore in modo sistematico, ma già lo utilizza al suo interno e ne fa sapere all’esterno alcuni risultati. Per esempio: ci si interroga sul rischio che gli Usa subiscano una deflazione, cioè un protratto abbassamento dei prezzi (come avviene nelle fasi depressive dell’economia), o all’opposto che l’enorme deficit del bilancio federale e le altre misure per stimolare l’economia e tirarla fuori dal pantano finiscano per scatenare l’inflazione. Questa seconda ipotesi è contraddetta dai tassi di interessi stagnanti sul lungo termine, ma che dire della prima? Negli Usa gli ultimi dati sull’inflazione (di agosto, vale la pena di sottolineare) davano una crescita dei prezzi su base annua dello 0,9%, un valore basso ma non negativo. E invece il Google Price Index, dice il capo economista Varian, mostra «una chiara tendenza deflazionistica», che del resto era apparsa evidente (in base al Gpi) anche nella maggior parte del periodo da gennaio in poi. Monitorare l’andamento del Google Price Index e vedere per qualche tempo ancora se le sue previsioni si realizzano, cioè se si dimostra uno strumento valido o troppo aleatorio, avrà il suo peso nel decidere se l’indice andrà reso pubblico su base stabile. Comunque in Google ci credono.

È evidente che un indice basato sulle compravendite in Internet diventerà tanto più affidabile quanto più queste si estenderanno fino a inglobare, idealmente, tutte le transazioni. Gli economisti di Google sono ben coscienti che al momento alcuni tipi di acquisti sono sovrarappresentati nella Rete, e quindi anche nel loro nuovo indice: in Internet si comprano molti libri (cartacei o non), computer, videocamere digitali, orologi, capi di abbigliamento sportivo eccetera. Per questi prodotti l’andamento del Google Price Index mostra un’ottima correlazione con la dinamica dei corrispondenti dati tradizionali di inflazione, mentre per altri beni che compaiono in modo più capriccioso nella lista degli acquisti in Rete l’affidabilità è minore. Tuttavia la sperimentazione può aiutare ad assegnare i giusti pesi alle varie voci in modo da avere un quadro complessivo veritiero. Proprio come fa l’Istat.

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