TeleGuardoni

Ormai è tutto un reality, spopola la TV del dolore... dobbiamo recuperare un po di dignità per capire che è il momento di fermarci. Ottimo pezzo di Luca Telese per approfondire, buona lettura. Rex (fortunato non spettatore di questo strazio televisivo).
scazzitvConcetta nella prigione di Teledolore
di Luca Telese.
Il volto di Concetta, lo sguardo pietrificato e sconvolto, davanti alle telecamere. E a noi. Il volto di Concetta: la bocca semiaperta, l’espressione attonita, la sofferenza che non si metabolizza. E’ successo mercoledì notte, e dall’altra parte dello schermo c’eravamo noi, un frammento di Italia: un po’ solidale un po’ guardona.
Di nuovo, per la seconda volta nella nostra storia – dopo la notte di Vermicino – una morte in diretta. Di nuovo  una maratona di “teledolore” che ci frigge nella carne, una madre che apprende la morte della figlia e la colpevolezza del cognato in pochi minuti, esponendo il suo sconcerto, costretta a mostrarsi indifesa e di fronte al mondo. Quanti segni da decifrare in quella inquadratura. Concetta nel tinello della casa di sua sorella, apprende in quel momento dalla tv, che è anche la casa dell’assassino di sua figlia. Siede al fianco di sua nipote. Che però, apprende in quel momento dalla tv, è anche la figlia omertosa che forse proteggeva il padre. E che forse lo subiva: nipote complice e vittima. Scopre tutto questo, e noi lo scopriamo con lei, in un gioco perverso: lo spettacolo sono le notizie, ma anche il modo in cui rimbalzano sul suo viso: se piange, se tace, se si dispera o no, se capisce o se soccombe. In mezzo il grande circo di una provincia contadina: la difficoltà di difendersi di una famiglia semplice, che dopo aver guardato per anni la tv, ci si ritrova dentro, masticata e digerita. In mezzo – come lampi di una telenovela tragica – ingenuità e violenza: un avvocato che non riesce a proteggerti, i filmini matrimoniali dello zio-cognato-assassino, e le interviste bugiarde in cui piangeva come un vitello, lanciando appelli lacrimevoli e depistanti: “Torna Sarah, torna!!”. E poi le domande della Sciarelli alla figlia: “Quelli erano i giorni felici, vero?”. La cosa più pericolosa, mentre un intero paese deve ancora metabolizzare il trauma di questa angoscia spettacolarizzata è la violenza della tv del dolore, così calda protettiva e rassicurante mentre la ingerisci, così dolorosa quando spegni. La cosa più facile e sbagliata, invece, è cercare una capro espiatorio per autoassolversi. Oppure dare la caccia a  “un mostro”, liberarsi del dolore tramutandolo in rabbia, magari invocando corda e sapone, un linciaggio che lavi con il sangue le macchie oscure. Nessuno di noi, soprattutto i giornalisti a cui capita di condurre in tv – nemmeno io che scrivo – sa cosa significhi trovarsi a bordo di un treno in corsa mentre cadono le bombe. E’ difficile capire se Federica Sciarelli, la conduttrice di Chi l’ha visto?, che spesso è riuscita a muoversi con passo lieve in mezzo alle peggiori sciagure, sia consapevole sino in fondo del paradosso che il suo programma ha prodotto ieri. La diretta era padrona di tutto: dei carnefici e delle vittime. Riceveva le notizie delle indagini in modo quasi reale, ma allo stesso tempo aveva “in ostaggio” le vittime. Lo faceva oggettivamente, perché “il telefonino non prende”, e allora nemmeno i Carabinieri riescono a parlare con Concetta: solo la tv può decidere se liberarla o meno. Allo stesso modo è difficile capire se la Sciarelli sia pienamente consapevole che chiedere a una madre se “Vuole interrompere la trasmissione?” non ha senso. Quando le forze dell’ordine vanno a spiegare a qualcuno che suo figlio è morto – se fanno bene il loro lavoro – portano uno piscologo, danno assistenza, non fanno domande. Il volto di Concetta, quel maledetto telefonino senza campo, le sue parole spezzate: “Stanno trovando un cadavere… E’ assurdo….”. E’ vero che la conduttrice le dava la possibilità di tirarsi fuori. Ma è altrettanto vero che per 2 ore e 42 minuti lei era dentro, la più indifesa di tutti noi: un tempo interminabile, in cui le notizie sono deflagrate in studio fra smentite e conferme, come bombe a frammentazione: “Qui c’è il Quotidiano di Puglia che dice…”. “Qui l’Agi conferma”. Anche la Sciarelli entrava in quel tinello come una bomba: “C’è Sabrina? Vuole parlare?”. La tv possedeva tutti i testimoni e tutti i personaggi del dramma, li “deteneva” (nel senso letterale), e anche quando loro si ritraevano dal suo sguardo ustorio, ci spiegava cosa accadeva, come in un reality: “Sabrina sta telefonando”, spiegava l’invita. Ed è il messo di Chi l’ha visto? che offre un bicchiere d’acqua a Concetta, non i padroni di quella casa. Dentro questa storia ci sono stereotipi antichi, e piccoli misteri. C’è la differenza di classe, tra chi si può difendere dalla tv e chi non può. C’è il potere di controllo, che non si attenua concedendo la possibilità di uscita volontaria, ma che semmai si esalta nella forza suggestiva che ti spinge a dire no. Il vero mistero è proprio quel tinello. Perché la Sciarelli fa il programma a casa dello zio? “Perché lui era diventato – spiega – il cuore della storia”. Ma Michele era già sotto interrogatorio da ore. E la tv, aspettava il suo ritorno, interrogando la sua famiglia e portandogli a casa la sua vittima. Però c’era una cosa che forse si doveva fare prima. Quando la Sciarelli ha saputo la verità su Sarah, non doveva, come ci ha raccontato , “provare a prolungare la trasmissione nella speranza che arrivasse una smentita”. Doveva chiudere il collegamento, liberarla, liberarci. Avere la forza di toglierci il nostro macabro spettacolo. Per il bene di Concetta. E anche per quello di noi, i guardoni di casa.

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